Le rendite

Domenico Riccio - Le rendite

A costo di apparire paradossali, va espressamente enunciata la vigoria e la floridezza del vitalizio, quale uno dei rapporti tipici oramai tanto socialmente quanto economicamente più importanti. L’erronea sottovalutazione è legata all’equivoca lettera del codice, che esordisce trattando dei modi di costituzione (art. 1872 c.c.), quasi a voler racchiudere la materia negli stretti ambiti del contratto oneroso, donazione e testamento, salvo poi a dettare una disciplina del rapporto che ha un’applicazione certamente più ampia del settore cui viene relegata da un’interpretazione troppo angusta. Invece, anche in questa ipotesi – esattamente come pure accade in tema di rendita perpetua – si deve affermare che il legislatore ha voluto, non solo e non tanto disciplinare il singolo contratto costitutivo di rendita, ma il più ampio genus dei rapporti dei rendita vitalizia, quale che ne sia la fonte originante.

Pur sostenendosi l’obsolescenza della figura, si deve considerare che la cosiddetta decadenza della rendita vitalizia ha interessato non certamente l’area delle rendite in senso lato, bensì soltanto gli aspetti più peculiari delle fonti che storicamente si sono affermate per prime, ovvero il contratto oneroso, la donazione ed il testamento. A queste, però, si sono da tempo sostituite nuove fonti generatrici di rapporti vitalizi, quali – a tacer d’altro – le assicurazioni sulla vita.

D’altro canto, la funzione previdenziale, che prima trovava risposta nelle fonti classiche, non solo non si è esaurita, ma ha trovato nel meccanismo della rendita vitalizia, la possibilità di ovviare ad una molteplicità di bisogni – anche non strettamente economici – tanto la prassi legislativa ha regolamentato una serie di ipotesi di rendite vitalizie, le quali – dati i loro caratteri peculiari – possono sicuramente ritenersi concretare un nuovo genus (quello appunto delle rendite previdenziali).

La molteplicità delle fonti, però, non deve far dedurre una discordanza nei rapporti, i quali pure possono essere regolati dalle norme codicistiche espressamente previste e tutti, qualora non derogati da normativa speciale, trovano nel dettato codicistico la disciplina comune applicabile comunemente.

La fonte sostanzialmente non muta il rapporto. Infatti gli elementi comuni qualificano la struttura del rapporto e ne danno un profilo unitario. Pur essendo diversi gli elementi genetici, il rapporto che ne scaturisce è sempre un’obbligazione di rendita con caratteristiche costanti a prescindere dalla fonte, per cui le norme codicistiche dedicate alla rendita vitalizia, se hanno un vizio, non è certamente quello di essere dettate per un istituto oramai desueto, ma, al contrario, di non riuscire a regolamentare una fattispecie che, data anche la enorme diffusione e la conseguente importanza economica, appare essere particolarmente complessa. Pertanto tali norme, non solo non devono essere caducate, ma il legislatore, presa coscienza del mutamento dell’istituto, le deve riproporre appropriatamente riformulate affinché le stesse possano meglio ricomprendere quelle nuove forme nelle quali attualmente si manifesta il vitalizio.

(Scritto nel 2005)