Domenico Riccio - Tommaso
Nel buio della prigione, mentre l’ombra della morte si allunga, Tommaso Moro scrive. Non parole di resa, ma un canto solitario di ribellione contro il destino, una ricerca dell’essenziale che trascende la paura. Tommaso è il diario spirituale di un uomo che, alla vigilia della sua esecuzione, sfida il potere e la sua illusione. Qui, la felicità non è che una trappola, un miraggio che devia dall’unica vera libertà: quella dell’anima che si risveglia. Con parole crude e potenti, Tommaso si scava dentro, esplorando gli abissi della propria esistenza, in cerca della verità nascosta nelle profondità. Il destino non è inciso nella pietra: ogni battito, ogni respiro può scrivere una nuova storia. Nel terzo volume della “Trilogia del Potere” (Giuliano, Federico, Tommaso), l’anima si scontra con la tirannia del mondo, e ciò che resta è poco, ma è potente: la virtù, la volontà, l’essenziale.
Indice
L’Opera
Tommaso – Il silenzio dell’eternità
L’Autore
Tommaso
Premessa
Ai posteri
Io sono
È così che ragionano gli uomini
Lo scrittoio
La mia vita
La colpa degli altri
Un gallo canta
Le mie sconfitte, le mie vittorie
La felicità
Il non sapere
Polifemo
La iattura della terra
Ho un solo occhio
Comandare
Il silenzio
Ciò che è veramente importante
L’uomo nella natura e la natura dell’uomo
Come arriva
Io sono
Un grande popolo
La fede, la magia
Perdere
Dell’intelligenza, dell’umiltà
So venire al mondo
Il viaggio
Il perdono e il fallimento
L’acqua non è acqua
La tempesta
La porta è aperta
Il sé
Una cosa sola
La vecchiaia è la giovinezza vissuta due volte
Moriremo in pace
Siamo ancora vivi
Il fuoco
Ciò che non è
Ciò che non so, quello che non conosco
Gilgamesh
Il demone che m’assale
L’ora dell’oscurità
Fine
Premessa
Il testo riporta degli appunti vari scritti da Tommaso Moro negli ultimi momenti di prigionia quindi tra il 1° e il 6 luglio 1535. La vaghezza ed insieme la profondità degli stessi fanno pensare che avesse già il sentore dell’aldilà.
Si aggiunge alle arguzie manifestata negli ultimi momenti, quando – ad esempio – il 1° luglio 1535, Tommaso, appena condannato a morte, si rivolge ai giudici che gli chiedono se desidera aggiungere qualcosa. «Ho poco da dire, tranne questo: il beato Apostolo Paolo era presente e consenziente al martirio di santo Stefano. Ora, sono entrambi santi in Cielo. Benché abbiate contribuito alla mia condanna, pregherò fervidamente perché voi ed io ci ritroviamo insieme in Cielo. Allo stesso modo, desidero che Dio Onnipotente preservi e difenda Sua Maestà il Re e gli mandi un buon consiglio».
Il 6 luglio, viene condotto sul luogo del supplizio, abbraccia il boia, si benda gli occhi da sé e poi «Un momento! – dice, mettendosi a posto la barba – essa non ha tradito!».
Il capo cade al primo colpo.
Ai posteri
Capisco che è assurdo,
ma trovo assurdo
che l’assurdo non possa essere capito.