Domenico Riccio - Polifemo

L’Ignoranza di Polifemo è un viaggio nel pensiero di un gigante, una sfida alla logica, una danza sull’orlo del paradosso. Ulisse è prigioniero nella caverna del ciclope. Deve guadagnare tempo, inventare stratagemmi, trovare la via di fuga. Ma ogni sua domanda scatena un fiume di parole. Polifemo parla, sicuro come una montagna, saldo come una roccia che non teme il mare. E ciò che dice è assurdo, grottesco, ridicolo. Oppure no? L’ignoranza è solo mancanza di sapere, o è un mondo intero, perfetto e inaccessibile, che si regge su regole invisibili? Se Polifemo è folle, perché ogni sua frase sembra avere una logica segreta? Se è cieco, perché sembra vedere una verità che Ulisse non riesce a comprendere? Trenta capitoli, trenta discorsi sconclusionati eppure coerenti, trenta specchi deformanti in cui la realtà si piega e la verità si dissolve. Un libro sull’ignoranza, sulla conoscenza, e sulla più terribile delle domande: chi è davvero il cieco?

Indice
L’Opera
Polifemo – L’ignoranza è una caverna senza uscita, la saggezza un labirinto senza fine
L’Autore
Polifemo
Premessa dove si racconta che l’ignoranza è un mostro con un solo occhio, ma con mille bocche, e che la verità è una bestia troppo piccola per essere vista
Parte I – L’ignoranza che si ignora
Fino a che punto può sprofondare la mente?
Del perché il mare è asciutto e altre verità sconosciute ai marinai
La capra che conta fino a due: un trattato di matematica ciclopica
Come il fuoco si raffredda e perché i filosofi non lo capiscono
L’arte di chiudere gli occhi per vedere meglio
I venti soffiano perché hanno fame: metafisica dell’aria
La montagna più alta del mondo è quella che non si vede
Dio esiste perché io sono grande: teologia polifemica
Se un sasso cade verso il basso, è perché vuole farlo
Ulisse, ti spiego come sei nato e perché non lo sai
Il sole tramonta perché si annoia: cosmologia elementare
Parte II – L’ignoranza che dubita
Il mondo è più complesso, ma la confusione genera paradossi
Forse il mare è bagnato, ma solo quando nessuno lo guarda
Il tempo è un animale che corre e si ferma quando ha sete
La notte è il giorno travestito: teoria del buio
Il pesce e l’uccello sono la stessa cosa, ma uno mente meglio
Tutto ciò che non conosco non esiste, oppure è più reale di me?
Gli uomini piccoli hanno cervelli grandi e viceversa, ma solo di giovedì
Forse i pensieri esistono, ma chi li ha inventati?
Ulisse, ti spiego perché la verità cambia forma quando la guardi
La caverna è il centro dell’universo, ma il centro è ovunque
Se parlo e nessuno capisce, significa che sono il più saggio?
Parte III – L’ignoranza che crede di sapere
Polifemo diventa convinto di aver raggiunto la saggezza assoluta e Ulisse vede il gigante trasformare la confusione in certezza
Ho capito tutto: la verità è un cerchio che non si chiude
Il mio occhio vede più di due, perché uno basta
Ulisse, ti spiego perché la tua astuzia è stupida e la mia stupidità è astuta
Se il destino esiste, allora l’errore è una scelta giusta
Chi non conosce la paura è perché non conosce niente: elogio del terrore
Mangiare o non mangiare? Questo è il dilemma solo per chi ha fame
L’acqua è asciutta, il fuoco è freddo e io sono saggio
Il sapere uccide l’ignoranza o la rende più forte?
Ulisse, se non fossi io, chi sarei?
La verità è troppo piccola per il mio occhio
L’ultima verità

Premessa dove si racconta che l’ignoranza è un mostro con un solo occhio, ma con mille bocche, e che la verità è una bestia troppo piccola per essere vista
C’è un’isola nel mezzo del mare, più solitaria di un naufrago, più immobile di un dio scolpito nella pietra. Su quell’isola, nascosta tra le rocce e il vento salmastro, si apre una caverna profonda come la gola di un abisso. È lì che vive Polifemo.

Polifemo, il gigante. Il figlio di Poseidone. Il pastore di pecore e capre, il frantumatore di uomini, il divoratore di carne, il guardiano dell’ovvio, il signore della pietra.

Polifemo, il cieco che vede.

Non cieco come lo diventerà dopo l’incontro con Ulisse, quando il fuoco greco gli scaverà il cranio e trasformerà il suo unico occhio in una voragine nera. No. Già prima era cieco, e non lo sapeva. Già prima guardava e non vedeva. Già prima credeva di sapere, e per questo non sapeva nulla.

Questa è la sua storia.

Ma questa è anche la storia dell’ignoranza, la sua patria e la sua condanna.

L’ignoranza ha molte facce, ma un solo sguardo

L’ignoranza non è il buio. No, il buio è uno spazio in cui può nascere la luce. L’ignoranza è un sole che brucia troppo forte, che illumina ogni cosa con tanta violenza da cancellare le ombre, da impedire di distinguere i contorni. L’ignoranza è l’assoluta sicurezza di essere nel giusto.

Polifemo, con il suo occhio solo, non ha mai dubitato. Non ha mai esitato. Non ha mai pensato che il mondo potesse essere diverso da come lo vedeva. Per lui il mare è solo acqua, il cielo è solo aria, la terra è solo terra. Ogni cosa è ciò che sembra. Non c’è spazio per il forse, per il se, per il ma.

E poi arriva Ulisse.

Ulisse, il piccolo uomo dagli occhi affilati come coltelli. L’uomo dalle mille menzogne, dalle mille astuzie, dalle mille domande. Ulisse, che non è forte, che non è grande, che non è divino, ma che sa che la verità non è mai una sola, che la verità è una serpe che cambia pelle ogni volta che cerchi di afferrarla.

E quando Ulisse e Polifemo si incontrano, non è solo uno scontro di carne e ossa. È uno scontro tra due mondi. Tra la certezza e il dubbio. Tra la roccia e il mare. Tra l’immobilità e il movimento.

Tra l’ignoranza che crede di sapere tutto e l’intelligenza che sa di non sapere nulla.

Il mondo visto con un solo occhio. Per tre notti e tre giorni, Polifemo parla.

Parla con la sicurezza di chi non ha mai avuto bisogno di mettere in discussione il proprio pensiero. Parla con la voce di chi non è mai stato contraddetto. Parla come parlano le montagne, i fiumi, i vulcani: con la certezza di essere eterni.

Ulisse lo ascolta.

E si chiede: può un uomo essere più prigioniero di chi crede di essere libero?

Perché Polifemo è libero. Non ha padroni, non ha re, non ha leggi. Vive sulla sua isola senza dover rendere conto a nessuno. Eppure è incatenato. Incatenato a ciò che sa. Incatenato a ciò che crede di sapere. Incatenato alla sua unica verità.

E mentre il ciclope parla, mentre dispiega il suo pensiero come un cielo pieno di nuvole, Ulisse si accorge di qualcosa di terribile: Polifemo non è stupido.

No, non lo è.

Le sue parole sono folli, sì. Sono paradossali, sconnesse, piene di contraddizioni. Ma sotto la loro superficie scorre una logica oscura, una logica che appartiene solo a lui, una logica che ha le sue leggi, le sue coerenze, le sue verità.

E allora Ulisse si fa una domanda: se Polifemo non è stupido, se le sue parole hanno senso nel suo mondo, allora chi può dire quale mondo sia quello giusto?

Tre parti, trenta capitoli, un solo dubbio. Questo libro è diviso in tre parti.

Nella prima, Polifemo parla con la sicurezza di un dio. Per lui il mondo è semplice, solido, inamovibile. Ulisse cerca di trovare un varco, una crepa, un punto in cui il dubbio possa insinuarsi, ma ogni parola del ciclope è una roccia lanciata contro il mare: pesante, innegabile, definitiva.

Nella seconda, Polifemo comincia a vacillare. Il dubbio lo sfiora come un vento che non può essere visto, come un’ombra che non può essere afferrata. Ma il dubbio, anziché portarlo verso la verità, lo getta in una nuova ignoranza: un’ignoranza confusa, disorientata, una nebbia in cui ogni cosa perde forma.

Nella terza, Polifemo crede di aver capito tutto. Crede di aver trovato la risposta definitiva. Crede di essere diventato saggio. Ma è davvero saggezza, o è solo una nuova prigione, ancora più grande, ancora più insidiosa?

E Ulisse?

Ulisse si rende conto di qualcosa che non aveva previsto.

Polifemo è ridicolo, è assurdo, è un gigante che inciampa nelle proprie parole. Ma è anche una verità vivente. Una verità scomoda, una verità che nessuno vuole ammettere: l’ignoranza non è solo mancanza di sapere. L’ignoranza è un universo intero.

Un universo coerente con sé stesso.

Un universo incomunicabile agli altri.

Un universo che esiste in ogni uomo, in ogni mente, in ogni pensiero.

La domanda che resta. Alla fine, Polifemo resta solo con il proprio sapere. Solo con il proprio occhio spalancato sul nulla. Solo con le sue parole, che lo hanno costruito e distrutto.

E Ulisse riprende il mare, chiedendosi se davvero è riuscito a fuggire.

Perché forse Polifemo è ancora lì.

Forse Polifemo è dentro ognuno di noi.

E allora la domanda resta: chi è veramente il cieco?