Domenico Riccio - Pilato
Ponzio Pilato non ha fatto nulla. Ed è esattamente questo il problema. Non ha odiato, non ha amato, non ha creduto, non ha combattuto. Ha solo lasciato che il mondo scorresse, immobile, impassibile, perfetto ingranaggio della grande macchina dell’Impero. Ha visto un uomo davanti a sé e non ha visto nulla. Ha sentito un popolo gridare e non ha sentito nulla. Ha chiesto: Cos’è la verità? e non ha aspettato risposta. Ha lavato le mani, ma l’acqua non lava l’indifferenza. Questo libro racconta una vita intera trascorsa senza mai scegliere. Pilato nasce e muore nello stesso modo: con lo sguardo spento, con il cuore leggero, con l’anima vuota. Un uomo che poteva cambiare la storia e non l’ha fatto. Perché? Perché non gli importava. E così tutto è compiuto. Nulla è cambiato. Un viaggio nel cuore freddo dell’indifferenza. Un ritratto spietato di chi attraversa la vita senza mai viverla. Una domanda scomoda: chi siamo, se scegliamo di non scegliere?
Indice
L’Opera
Pilato – La condanna dell’indifferenza
L’Autore
Pilato
Il demone sottile
Parte I – L’abitudine all’indifferenza
Nato per non scegliere
Roma non sente, Roma non vede
La macchina dell’Impero
Un uomo senza convinzioni
Il peso delle formalità
Sangue e sabbia, senza gloria
Il lusso del disinteresse
Una moglie, una profezia
Gli ebrei, un fastidio
Il destino di chi non ha destino
Parte II – L’indifferenza al culmine
Un uomo davanti a me
Cos’è la verità?
Acqua sulle mani, peso sul cuore
Il compromesso perfetto
Un re senza regno, un giudice senza sentenza
La folla decide
L’arte di voltarsi dall’altra parte
Il grido lontano
Tutto è compiuto, nulla è cambiato
Lavarsi le mani non basta
Parte III – L’abisso dell’indifferenza
La vita continua, per chi?
Un nome da dimenticare
Roma ha altri problemi
L’ombra di una nuova fede
I giorni si susseguono, uguali
L’imperatore si è scordato di me
Lontano da tutto, vicino al nulla
La verità ritorna
L’indifferenza non salva
Un uomo solo davanti a niente
Il nulla dopo l’indifferenza
Il demone sottile
Non è l’odio a distruggere il mondo. Non è la rabbia, non è la vendetta, non è la crudeltà. Sono tutte forze potenti, certo, tutte capaci di lasciare una scia di dolore e rovina dietro di sé. Ma almeno sono vive. L’odio è fuoco, la rabbia è tempesta, la vendetta è lama affilata. Possono devastare, possono annientare, possono avvelenare l’anima di un uomo e di un intero popolo. Ma almeno bruciano, almeno scuotono, almeno fanno sentire che qualcosa esiste.
L’indifferenza, invece, no.
L’indifferenza è silenziosa, è statica, è priva di colore e di peso. L’indifferenza non urla, non si impone, non lascia tracce evidenti. È il vento che soffia via le impronte nella sabbia. È il mare che cancella ogni segno sulla riva. È il tempo che scorre senza lasciare memoria. L’indifferenza non fa rumore quando arriva, non annuncia la propria presenza, non si mostra come minaccia. Si insinua piano, giorno dopo giorno, pensiero dopo pensiero. Ti convince che non vale la pena combattere, che non vale la pena scegliere, che non vale la pena sentire.
L’indifferenza è il demone più sottile.
Nessuno la teme. Nessuno la combatte. Perché non si vede. Perché non si sente. Perché non sembra un pericolo. Eppure è la più grande di tutte le minacce. Perché l’odio può spezzarti, ma l’indifferenza ti svuota. Perché la rabbia può esplodere e poi consumarsi, ma l’indifferenza rimane sempre uguale, immobile, eterna.
E così, senza dolore e senza rimpianti, un uomo può attraversare la vita senza mai viverla davvero.
Come Ponzio Pilato.
Si parla di lui come dell’uomo che ha consegnato Gesù alla croce. Ma questa è una semplificazione. Pilato non ha scelto di condannare. Non ha scelto di salvare. Pilato non ha scelto nulla. Ha lasciato che le cose accadessero. Ha permesso alla storia di scorrere senza opporre resistenza. Ha ascoltato, ha osservato, ha chiesto, ha esitato, ma alla fine non ha deciso. Ha lasciato la decisione agli altri. Alla folla, ai sacerdoti, ai meccanismi della politica, alla necessità di mantenere l’ordine.
Pilato ha lavato le mani. E con quel gesto, con quel simbolo di distacco e neutralità, ha compiuto l’atto più devastante di tutti. Non ha fatto il male, ma non ha impedito che il male venisse fatto. Non ha condannato, ma non ha salvato. Non ha odiato, ma non ha neppure avuto compassione.
Ed è così che l’indifferenza vince.
Non con il fragore di una battaglia. Non con il clangore delle armi. Ma con il silenzio. Con la passività. Con il semplice, glaciale, inesorabile lasciar andare.
Si potrebbe dire che Pilato è un uomo come tanti. Non un mostro, non un despota, non un carnefice. Solo un uomo, come molti altri, come troppi altri, che attraversano la vita senza mai schierarsi, senza mai prendere davvero una posizione, senza mai sentire fino in fondo il peso delle proprie scelte – o meglio, della loro assenza. Un uomo che si è lasciato scorrere addosso il corso degli eventi, che si è lasciato trascinare dalle circostanze, che ha vissuto senza mai vivere davvero.
E così, questo libro racconta la sua storia.
Non la storia di un cattivo. Non la storia di un eroe. Ma la storia di un uomo che ha vissuto l’intera sua esistenza nell’ombra dell’indifferenza. Dal primo giorno all’ultimo.
Ma perché raccontare la storia di un uomo come Pilato? Perché soffermarsi su un personaggio che, in fondo, non ha fatto nulla? Forse proprio per questo. Perché l’indifferenza è il più grande nulla che esista, eppure è ciò che permette al male di prosperare, alla storia di compiersi senza ostacoli, agli eventi di scorrere senza che nessuno li fermi. Pilato è il simbolo perfetto di tutto questo. Un uomo che avrebbe potuto scegliere, ma non l’ha fatto. Un uomo che aveva il potere di fermare una condanna ingiusta, ma ha preferito lasciar decidere gli altri. Un uomo che aveva davanti a sé qualcosa di straordinario, ma ha scelto di non vedere.
L’indifferenza non è mai un atto improvviso. Non è una decisione presa in un singolo istante. È il risultato di un’intera esistenza vissuta senza slanci, senza convinzioni, senza passioni. Pilato non è diventato indifferente il giorno in cui si è trovato di fronte a Gesù. Lo era sempre stato. Lo era stato nella sua carriera politica, nei suoi rapporti con Roma, nei suoi doveri di amministratore della Giudea. Lo era stato nei suoi giorni trascorsi a mantenere l’ordine senza mai chiedersi perché quell’ordine fosse necessario, senza mai chiedersi se fosse giusto o sbagliato.
L’indifferenza è un’abitudine. Un’abitudine che inizia con piccole cose. Con il distacco, con la prudenza, con il desiderio di non esporsi, di non rischiare. Poi cresce. Diventa una corazza. Diventa una filosofia. Diventa un modo di vivere. E infine diventa tutto ciò che si è. Pilato non ha scelto l’indifferenza in un momento di debolezza. L’indifferenza era il suo stesso essere.
E allora la sua storia non è solo la storia di un personaggio storico. È la storia di un atteggiamento umano che attraversa i secoli, che si ripete in epoche diverse, in contesti diversi, in uomini diversi. Quante volte, nel corso della storia, uomini e donne si sono lavati le mani di fronte a qualcosa di grande? Quante volte hanno lasciato che altri decidessero, che altri agissero, che altri portassero il peso della responsabilità? Quante volte l’indifferenza ha reso possibile ciò che avrebbe potuto essere fermato?
Si potrebbe pensare che Pilato sia stato un uomo di potere. Ma che cos’è il potere se non si esercita mai davvero? Pilato ha avuto l’autorità. Ma l’autorità senza volontà, senza decisione, senza convinzione, non è nulla. Non è dominio, non è controllo, non è influenza. È solo una posizione, una carica vuota, un’illusione di comando. E Pilato, in fondo, non ha mai comandato nulla. È stato comandato dagli eventi, dalla necessità, dalla paura di fare troppo rumore, dal desiderio di non compromettere la propria posizione.
Il potere non è nelle mani di chi ha un titolo. È nelle mani di chi ha il coraggio di usarlo. Pilato non l’ha usato. Ha preferito il silenzio.
Ma il silenzio, a volte, pesa più di qualsiasi parola.
E così, il suo nome è rimasto legato a un solo gesto. Un gesto che è diventato simbolo. Il gesto di chi si tira indietro. Il gesto di chi si separa dal destino altrui come se non lo riguardasse. Il gesto di chi lascia che le cose accadano senza sporcarsi le mani.
Ma lavarsi le mani non è abbastanza.
L’acqua non cancella la responsabilità. L’acqua non assolve dall’aver lasciato che il mondo andasse avanti senza opporre resistenza. L’acqua non salva. L’acqua scorre, e porta via tutto. Anche il ricordo. Anche il nome.
Per questo, Pilato è un uomo da dimenticare. Ma proprio perché è un uomo da dimenticare, è anche un uomo che vale la pena ricordare. Perché la sua storia è la storia di ogni scelta mancata, di ogni parola non detta, di ogni passo indietro fatto per non rischiare di essere troppo coinvolti. È la storia di ogni volta che l’umanità ha lasciato che qualcosa accadesse senza opporsi.
E alla fine, la domanda è questa: chi siamo, se scegliamo di non scegliere? Che cosa rimane di noi, se lasciamo che la vita scorra senza prenderne parte?
Forse nulla.
O forse solo il ricordo di un uomo che, un giorno, si è lavato le mani.