Domenico Riccio - L'Innocenza

 

L’innocenza è il travestimento più elegante della colpa. Non è uno stato originario, ma una finzione, un alibi universale. Ogni epoca l’ha proclamata, ogni individuo l’ha rivendicata, ogni potere l’ha sfruttata. L’innocenza non illumina, ma acceca; non protegge, ma intrappola. È il paradiso mai esistito, l’Eden che non c’era. Questo libro è un viaggio spietato e ironico nel cuore del mito più seducente dell’umanità. Attraverso la mitologia, la filosofia, la scienza e la storia, smaschera l’inganno che ci raccontiamo da sempre: siamo tutti complici, nessuno è innocente. Dal silenzio della folla al linguaggio che nasconde, dalla purezza infantile alla falsa neutralità della scienza, ogni pagina svela la maschera che indossiamo per non affrontare la realtà. Con uno stile asciutto, tagliente e paradossale, l’autore guida il lettore tra i paradossi dell’innocenza, svelandone il volto oscuro. Un’opera che scuote, provoca e costringe a guardarsi allo specchio. Perché l’innocenza non ci salverà. Non è mai esistita. Ma accettare questa verità è il primo passo verso la libertà.

“L’innocenza è la colpa in maschera, è la prova della complicità con l’ingiustizia del sistema, essa è l’arma dei tiranni, il rifugio dei pavidi e la maschera di chi non vuole sporcarsi le mani: la colpa, dopotutto, è l’unico atto davvero umano”

Indice
L’Opera
L’innocenza o il Bagatto – L’innocenza: l’ultima menzogna degli esseri puri
L’Autore
“L’innocenza è la colpa in maschera, è la prova della complicità con l’ingiustizia del sistema, essa è l’arma dei tiranni, il rifugio dei pavidi e la maschera di chi non vuole sporcarsi le mani: la colpa, dopotutto, è l’unico atto davvero umano”
L’innocenza o il Bagatto
La maschera dell’innocenza: un paradosso necessario
Parte I – L’innocenza come illusione
L’innocenza come favola moderna
La purezza dell’inganno: quando la verità non basta
Il mito dell’anima candida: storie per non crescere
L’innocenza come anestesia: come ci proteggiamo dalla realtà
La forza delle credenze: la bugia diventa struttura
L’eterno ritorno dell’errore: perché crediamo sempre alla stessa illusione
Il bambino buono: l’archetipo che giustifica tutto
L’innocenza senza volto: il potere delle omissioni
L’innocenza nella lingua: parole che nascondono azioni
L’innocenza come specchio: ciò che neghiamo di noi stessi
Parte II – L’innocenza come complicità
La neutralità impossibile: scegliere di non scegliere
L’innocenza del gregge: quando molti condividono la stessa colpa
La logica del capro espiatorio: sacrificare altri per restare puri
La banalità del consenso: il silenzio che approva
L’innocenza delle istituzioni: il crimine diviso in parti uguali
L’etica del delegare: quando la responsabilità è di qualcun altro
La giustizia dei ciechi: punire gli altri per non guardare sé stessi
La maschera della vittima: il rifugio del “non è colpa mia”
L’innocenza dell’ideale: ciò che si perdona a chi è “dalla parte giusta”
La colpa di chi non c’era: nessuno è davvero assente
Parte III – L’innocenza come condanna
L’innocenza come fuga dalla libertà
L’ideale del colpevole perfetto: perché ci serve il male assoluto
La condanna dei puri: l’impossibilità di vivere senza errore
Il prezzo della giustizia: l’innocenza che chiede vendetta
La tirannia dell’innocenza: la crudeltà del “bene”
Il perdono come condizione impossibile: quando l’innocenza è eterna
L’innocenza che crea mostri: la perfezione diventa disumanità
Il paradiso perduto: vivere nel sogno della colpa altrui
L’innocenza senza uscita: non possiamo essere né colpevoli né innocenti
La fine dell’innocenza: verso una nuova responsabilità
Conclusioni: il tramonto dell’innocenza

La maschera dell’innocenza: un paradosso necessario
L’innocenza non è un dato, ma un desiderio. Non un punto di partenza, ma una finzione narrativa. L’uomo, creatore di dèi e demolitori, ha scelto di vedere in sé il bambino che non è mai stato. Come un demiurgo maldestro, ha modellato un’idea così perfetta da risultare irrimediabilmente falsa.

L’innocenza è il filo d’Arianna che non conduce fuori dal labirinto, ma nel suo cuore. Ogni mossa verso la purezza svela un’ombra. Più ci dichiariamo innocenti, più i nostri passi risuonano nel corridoio della colpa. Non esiste bestia più terribile del puro, che pur di restare tale massacra il diverso, censura il dubbio e riduce il caos alla menzogna del bianco assoluto.

Il paradiso terrestre è una bugia geologica. Nessuna mappa lo contiene, eppure ci ostiniamo a cercarlo. Eva non era innocente quando colse il frutto; non perché peccò, ma perché agì. L’azione annulla l’innocenza. Prometeo, rubando il fuoco, dichiarò guerra al divino, non per avidità ma per consapevolezza. La stessa che ci spinge a creare il mito dell’innocenza per negare la vertigine della scelta.

L’infanzia, archetipo della purezza, è un’invenzione adulta. Nessun bambino si considera innocente: è solo il mondo a proiettarvi la nostalgia di una perfezione mai posseduta. Il bambino morde, urla, desidera; è caos primigenio, non virtù angelica. L’innocenza infantile è il trucco dell’adulto che, incapace di accettare il proprio fallimento, trasforma il non saputo in ideale.

Anche le pietre conoscono l’indifferenza del cosmo. Nessun fiore si proclama innocente, nessun lupo chiede perdono. La natura, che celebriamo come madre immacolata, è cruda e spietata. Eppure, ci ostiniamo a vederla come il prototipo della purezza, dimenticando che la purezza, in biologia, è sterilità. L’innocenza come status naturale è un’altra favola che raccontiamo per addormentarci senza rimorsi.

Nella storia, ogni rivoluzione ha dichiarato la propria innocenza, e ogni rivoluzione ha generato nuovi oppressori. Robespierre predicava la virtù, eppure la lama della ghigliottina non conosceva tregua. I conquistadores portavano croci e promesse di salvezza, ma lasciavano dietro di sé macerie e sangue. Ogni potere si costruisce sul mito della purezza; ogni sistema si alimenta dell’illusione che i suoi mezzi siano giustificati dalla nobiltà del fine.

La scienza, faro della modernità, non sfugge alla tentazione di dichiararsi innocente. Ma il progresso è un mosaico di errori, di fallimenti, di ambizioni mal riposte. Ogni scoperta è un’arma a doppio taglio: l’atomo che illumina Hiroshima, la penicillina che genera resistenze, l’intelligenza artificiale che riproduce i nostri pregiudizi. Il sapere non è mai neutrale; chi proclama l’innocenza del metodo mente.

La religione, regina dell’innocenza, ci offre una narrativa circolare: siamo nati colpevoli, ma possiamo tornare puri. Il peccato originale non è un fatto ma un’ipoteca; la redenzione, una promessa di cui non possediamo la ricevuta. La purezza, in teologia, è l’arma di chi domina: l’idea che possiamo lavarci le mani mentre il mondo brucia è un lusso che solo Dio può permettersi, perché non partecipa mai alla creazione del male.

Siamo innocenti finché il mondo lo permette. Finché non ci chiede di scegliere, di agire, di prendere posizione. Ma l’inerzia è complicità. Guardare senza intervenire, sapere senza denunciare, vivere senza agire: tutto ciò è colpa che si veste da silenzio. Eichmann, burocrate dell’Olocausto, non uccise con le mani; firmò carte, seguì ordini, rispettò procedure. Eichmann era “innocente”, e per questo è l’emblema della colpa.

La società moderna, nel suo sforzo di anestetizzarsi, si costruisce un’innocenza estetica. Il marketing vende purezza in flaconi; la politica promette trasparenza con le mani sporche; l’arte si rifugia in una bellezza priva di verità. Ma la purezza è l’assenza di vita, il nulla travestito da ideale. L’innocenza estetica è il trionfo dell’apparenza sull’essenza, un’opera vuota dipinta di bianco.

Ogni civiltà plasma i propri miti per non affrontare il proprio riflesso. L’innocenza è il più grande di tutti. È il guscio che avvolge la nostra colpa, il fiore che sboccia sulla nostra indifferenza, il velo che copre l’orrore. È il sacrificio di Agamennone che si maschera da atto necessario, la giustizia che usa la bilancia per non vedere il coltello.

Questo testo non intende distruggere l’innocenza, ma disvelarla. Non possiamo abbandonare i miti che ci definiscono, ma possiamo smettere di esserne schiavi. Guardare il volto dell’innocenza significa accettare le nostre contraddizioni, riconoscere le nostre ipocrisie, vivere con il peso della complessità.

La premessa è questa: l’innocenza è una menzogna, ma una menzogna necessaria. Una bugia che raccontiamo per non cadere nel baratro, un trucco che ci permette di sopravvivere. La questione non è se possiamo vivere senza innocenza, ma se possiamo viverci dentro, senza essere soffocati dalla sua illusione.