Domenico Riccio - La Meritocrazia

 

La meritocrazia è un inganno. In questo libro, la verità si svela come un lampo in un buio eterno. Tra miti antichi e moderni inganni, Platone e Prometeo, Newton e Sisifo, si intrecciano storie di potere e consenso. Qui, il talento diventa merce di scambio, un trofeo destinato ai più abili manipolatori, mentre il genio rimane sospeso, prigioniero di un sistema che premia l’apparenza. Con frasi taglienti e ironiche, l’autore smaschera il mito dell’ascensore sociale. La scienza, la politica, l’arte e la filosofia si fanno campo di battaglia per una verità inafferrabile: non esiste merito, solo consenso. La storia è un palcoscenico in cui i vincitori riscrivono il destino, e l’individuo si perde in una rete di contraddizioni e illusioni. Questo libro è un inno all’infranto, un grido contro la logica oppressiva che tiene fermi i prigionieri dell’apparenza. Preparati a cadere – per poi scoprire la libertà di volare.

“Il servo più diligente non diventa padrone: diventa il miglior servo. Il soldato più eroico non diventa generale: diventa una lapide”

Indice
L’Opera
La meritocrazia o l’Appeso – La meritocrazia: i simili si scelgono
L’Autore
“Il servo più diligente non diventa padrone: diventa il miglior servo. Il soldato più eroico non diventa generale: diventa una lapide”
La meritocrazia o l’Appeso
L’Inno dell’Infranto
Parte I – La favola della meritocrazia
Il talento non esiste, ma la selezione sì
Il merito è ciò che il potere decide essere merito
L’asino di Buridano non diventa un cavallo
La storia la scrivono i vincenti, il merito lo inventano i potenti
Se la meritocrazia fosse vera, i re sarebbero saggi e i saggi sarebbero re
Il più bravo non vince. Il più adatto sopravvive
Aristotele sarebbe stato assunto da Platone?
Newton senza il Royal Society sarebbe rimasto un contadino
La cattedra di Einstein non era destinata a Einstein
La ruota del criceto gira, ma il criceto non avanza
Parte II – Il trucco della meritocrazia
Nessuno arriva da solo, ma tutti si credono soli
Il concorso è un gioco truccato con regole invisibili
Il voto non misura nulla, ma decide tutto
Se la meritocrazia fosse reale, l’umanità sarebbe perfetta
Il genio ribelle esiste solo nei film
L’università premia la disciplina, non l’intelligenza
La carriera è un gioco di specchi: non vince chi è bravo, ma chi è riflesso
Il talento si eredita? No. Il potere sì
Le élite premiano chi le conferma, non chi le supera
Chi sceglie il migliore? Chi ha già vinto
Parte III – La prigione della meritocrazia
Il sogno della meritocrazia è l’incubo della competizione
Meritare è servire: chi lavora di più, vale di meno
Se il migliore prende tutto, il resto cosa prende?
La meritocrazia non fa salire i migliori, ma coopta i più simili o i più utili a chi comanda
La scuola insegna a obbedire, non a pensare
Il sacrificio non porta al successo, ma al sacrificio stesso
Chi non ce la fa, non meritava? O non era amico di chi meritava?
Non esiste un criterio oggettivo del merito, solo una gerarchia di consenso
Il merito è un’illusione per chi sta in basso, una moneta per chi sta in alto
L’Appeso non cade perché è sospeso: così la meritocrazia tiene fermi i suoi prigionieri
Conclusioni: il merito non esiste, in compenso abbiamo il consenso
Il talento non esiste, ma la selezione sì

Il leone non è re della savana perché ha talento, ma perché gli altri non sono leoni.

La selezione è un fatto. Il talento è un’ipotesi.

Ogni epoca premia certe abilità e ne ignora altre. Mozart è un genio, ma un Mozart nato tra i Sumeri sarebbe stato solo un uomo che produce suoni. Un contadino medievale sarebbe morto di fame nel Novecento. Un ingegnere di oggi non saprebbe costruire una cattedrale gotica. Se il talento esistesse, sarebbe riconoscibile sempre, ovunque. Ma non lo è.

Si dice: il talento emerge. Ma cosa emerge, se nessuno è lì per guardare? Il più grande poeta mai nato potrebbe essere stato un pastore analfabeta, il più grande fisico un servo della gleba. Si seleziona ciò che si vede, e si vede ciò che si cerca.

Nella Bibbia Dio sceglie Davide, il più piccolo dei fratelli, e fa di lui un re. Ma Davide diventa re perché Dio lo vuole, o perché chi scrive la Bibbia voleva che fosse così? La storia non seleziona il migliore: seleziona chi è stato selezionato.

L’arte della selezione è l’arte della costruzione del talento. Aristotele diventa Aristotele perché è il maestro di Alessandro. Se fosse rimasto nell’ombra, non sarebbe stato Aristotele. Sarebbe stato un uomo con molte idee.

Si dice: il talento è innato. Ma se è innato, perché cambia nel tempo? Perché il genio oggi è chi inventa algoritmi e ieri era chi sapeva comandare un esercito? Se il talento è un’essenza, allora è un’essenza mutevole, e un’essenza mutevole non è un’essenza.

Le Olimpiadi premiano il più veloce, il più forte. Ma gli atleti corrono con le scarpe migliori, mangiano il cibo migliore, si allenano nei centri migliori. Sono selezionati prima ancora di competere.

Si dice: il talento si riconosce da bambino. Ma i bambini suonano il pianoforte se hanno un pianoforte. Scrivono se hanno un quaderno. Il talento non è una scintilla divina: è un occhio che guarda nella direzione giusta.

Newton scopre la gravitazione universale. Ma se fosse nato prima di Euclide, avrebbe avuto gli strumenti per pensarla? Un’idea ha bisogno di un contesto per nascere. E allora, il talento è una proprietà dell’individuo o dell’epoca?

Si dice: il talento è un dono. Ma il dono viene da qualcuno. Chi ha mai visto il talento consegnarsi da solo?

Cicerone era un oratore straordinario. Ma se fosse nato in un’epoca senza retorica, chi lo avrebbe ascoltato? Il talento non è un tesoro nascosto: è una moneta che circola solo se il mercato la riconosce.

Si dice: il talento è raro. Ma raro rispetto a cosa? A quanti vengono lasciati provare?

Nel Medioevo, la maggior parte della popolazione non sapeva leggere. I migliori scrittori non sono mai nati, perché non hanno mai avuto una penna in mano.

Si dice: il talento trova sempre una strada. Ma un pesce non trova una strada nel deserto.

Nella savana il leone sopravvive. Non perché è il più talentuoso, ma perché la selezione l’ha favorito.

Si racconta che Michelangelo, osservando un blocco di marmo grezzo, vedesse già la statua dentro. Il talento è questa illusione: credere che in un uomo ci sia una scultura già perfetta, e che basti togliere il superfluo. Ma chi decide cosa è superfluo? Chi scolpisce?

Il talento è la statua. La selezione è lo scalpello.

Un bambino nasce. Ha dieci dita, due occhi, un cervello. Forse diventerà un musicista. Forse un matematico. Forse un macellaio. Si dice che abbia talento. Ma per cosa? Non sa ancora nulla. Non ha ancora incontrato chi deciderà per lui.

La storia è piena di talenti che non sono mai esistiti. La selezione li ha cancellati prima ancora di nominarli. L’uomo più intelligente del mondo potrebbe essere morto nell’infanzia per una febbre. Il più grande fisico del futuro potrebbe oggi raccogliere patate in un campo, senza sapere che le equazioni esistono.

Si dice: il talento è riconoscibile. Ma cosa significa riconoscere? Si riconosce ciò che si conosce già.

Se nasci in una società che premia la guerra, il talento sarà essere un guerriero. Se nasci in una società che premia la fede, il talento sarà essere un santo. Se nasci in una società che premia la velocità, il talento sarà correre. Nulla è talento in sé. Tutto è talento solo per qualcuno.

Il merito è un costume storico. Un tempo si premiava il sangue nobile. Poi si è premiato il denaro. Poi la conoscenza. Poi l’abilità tecnica. Poi l’adattabilità. Domani si premierà qualcos’altro. Eppure, ogni epoca si illude che i suoi criteri siano eterni.

Si dice: il talento è un dono. Ma un dono da parte di chi? Di Dio? Della natura? Della genetica? Un talento che non può esprimersi è uguale a un talento che non esiste.

Immagina un grande pittore nato cieco. È un genio? È un talento? O è solo un uomo senza opportunità?

La selezione funziona come un filtro. Passa solo ciò che il filtro lascia passare. Gli altri non esistono.

Eppure, la società insiste: il talento è innato.

Newton era un genio? Certo. Ma se fosse nato nel 1000 a.C., senza la matematica greca, senza il telescopio, senza la stampa, avrebbe scoperto la gravità? O sarebbe stato un contadino qualunque? Se il talento fosse reale, non dovrebbe aver bisogno del tempo giusto, del luogo giusto, delle persone giuste. Ma il talento ha sempre bisogno di tutto questo.

Si dice: chi ha talento si farà strada. Ma chi gli apre la porta?

Ogni sistema premia chi gli somiglia. I filosofi greci premiavano chi ragionava come loro. La Chiesa medievale premiava chi credeva come lei. L’Accademia premia chi scrive come l’Accademia. Nessuno premia un talento che lo minaccia.

Galileo aveva talento? Certo. Ma il suo talento ha rischiato di mandarlo al rogo. Non era il talento ad essere sbagliato, era la selezione a rifiutarlo.

Si dice: il talento non si può fermare. Ma si può ignorare. Si può distruggere. Si può deridere.

Kafka era un impiegato. Van Gogh era un fallito. Nietzsche morì pazzo e povero. Quando avevano talento? Prima o dopo che qualcuno li riconoscesse? Il talento non è qualcosa che si ha. È qualcosa che si riceve dagli altri.

Ogni epoca racconta la stessa storia: il migliore sale in alto. Eppure, ogni epoca si fonda su chi è stato lasciato in basso.

L’università seleziona. L’azienda seleziona. Il mercato seleziona. Ma cosa selezionano? Il migliore? O il più conforme?

Si dice: il talento è la causa del successo. E se fosse l’effetto?

Se prendiamo dieci bambini e diamo a uno le migliori scuole, i migliori maestri, il miglior ambiente, e poi diciamo: “Vedi? Lui era il più talentuoso!”, non stiamo misurando il talento. Stiamo misurando l’accesso alle risorse.

Il più veloce non è sempre il migliore. È solo quello che aveva le scarpe migliori.

Si dice: il talento vince sempre. Ma la storia è scritta dai vincitori.

Se il talento esistesse, dovrebbe emergere ovunque. Ma il talento si concentra sempre nei luoghi di potere. Strana coincidenza.

Ogni epoca racconta la stessa bugia: chi è in alto ci è arrivato perché era migliore.

Ma il talento non esiste.

La selezione sì.