Domenico Riccio - La Giustizia
La giustizia è un’illusione, ma è un’illusione potente. Ci seduce con la promessa di ordine, ci controlla con il mito dell’equità, ci punisce con il pretesto della moralità. Eppure, ogni legge è figlia del caso, ogni verdetto è un atto di vendetta, ogni tribunale un teatro. La bilancia della giustizia non è mai stata in equilibrio. In questo libro, la giustizia viene smontata pezzo per pezzo. Con uno stile tagliente e paradossale, si mostra come ciò che chiamiamo “giusto” sia spesso la maschera di un dominio, e come ciò che definiamo “ingiusto” non sia altro che paura codificata. Dalla mitologia alla scienza, dalla Bibbia ai tribunali moderni, il libro attraversa secoli di inganni e convenzioni, per arrivare a una verità: la vera giustizia è l’assenza di giudizio. Siete pronti a mettere in dubbio tutto ciò in cui credete? A scoprire che ogni legge è un compromesso, ogni sentenza un errore, ogni idea di giustizia un pregiudizio? Allora aprite queste pagine. Ma attenzione: leggere questo libro potrebbe cambiare il vostro modo di vedere il mondo.
“Ogni volta che qualcuno parla di giustizia, qualcun altro sta preparando la corda per un’impiccagione”
Indice
L’Opera
La giustizia o la Giustizia – La giustizia: un’illusione di equilibrio che oscilla tra vendetta e menzogna
L’Autore
“Ogni volta che qualcuno parla di giustizia, qualcun altro sta preparando la corda per un’impiccagione”
La giustizia o la Giustizia
La grande favola della giustizia
Parte I – La giustizia come menzogna
La giustizia è un racconto, non una realtà
La bilancia è sempre inclinata
Il giudice è un attore con la toga
Le leggi sono figlie del caso e del caos
Il giusto e l’ingiusto: due facce dello stesso pregiudizio
La norma non è altro che paura codificata
Ogni verdetto è un monumento all’ignoranza
L’invisibile violenza della legge scritta
La giustizia sociale come farsa collettiva
“Giustizia per tutti” è una promessa vuota
Parte II – La giustizia come vendetta
Ogni pena è una dimostrazione di impotenza
Il tribunale è un teatro, la giuria il pubblico
Chi invoca giustizia desidera vendetta
La punizione come piacere mascherato
Nessuna vendetta è mai equa
Il carcere: un tempio di ingiustizia
Giustizia divina: il più grande inganno umano
I processi come rituali tribali
Ogni legge nasce dal potere, non dalla ragione
Giustizia e potere si alleano per dominare
Parte III – La giustizia come mediazione impossibile
Gli uomini non vogliono equità, vogliono vincere
La mediazione è il linguaggio dei miti perduti
Nessuno è imparziale, nessuno è innocente
La verità non interessa a nessun tribunale
L’accordo è una tregua, non una soluzione
Il compromesso è un gioco di specchi
La pace si fonda sull’oblio, non sulla giustizia
Giustizia universale: un sogno per idioti
La giustizia è un’utopia che alimenta le guerre
Solo l’assenza di giudizio è giusta
Conclusioni: la rivoluzione della mitezza nell’assenza di giudizio
La grande favola della giustizia
La giustizia è il più grande racconto mai scritto dagli uomini. Un mito, un ideale, una speranza. Ma come tutti i miti, è falso. Come tutti gli ideali, è irraggiungibile. Come tutte le speranze, è destinata a deludere. La giustizia non esiste, eppure governa il mondo. O meglio, governa gli uomini, perché il mondo non conosce giustizia. Il mondo è indifferente. È solo l’uomo che si ostina a dividere ciò che è indivisibile, a pesare ciò che non ha peso, a giudicare ciò che non può essere giudicato.
Pensiamo alla giustizia come a una bilancia, ma ogni bilancia è un’illusione. Non esiste un fulcro immobile, non esiste un peso assoluto, non esiste un criterio universale. Ogni volta che cerchiamo di bilanciare qualcosa, spostiamo il problema da un lato all’altro. Non c’è equilibrio nella giustizia, solo il continuo oscillare tra la vendetta e la paura, tra il dominio e la sottomissione, tra l’illusione di sapere e la realtà di non sapere nulla.
La giustizia è una parola vuota che riempiamo con ciò che desideriamo. I romani chiamavano “giustizia” il diritto di possedere schiavi. I teologi medievali la identificavano con la volontà di Dio, che giustificava le crociate e i roghi. Le democrazie moderne la esaltano nei tribunali, dove il verdetto è deciso dalla retorica più che dalla verità. La giustizia cambia forma a ogni epoca, a ogni cultura, a ogni ideologia. È un camaleonte che si adatta alle circostanze, ma non è mai ciò che pretende di essere.
Ogni legge, ogni codice, ogni sistema giuridico nasce dalla violenza. Non esiste giustizia senza forza, perché le leggi non si applicano da sole. Devono essere imposte, fatte rispettare, difese con le armi se necessario. La giustizia è sempre stata il linguaggio del potere. È il modo in cui chi comanda giustifica le proprie azioni, il modo in cui chi è comandato accetta la propria condizione. La giustizia è la maschera del dominio, e la bilancia è l’emblema di questa finzione.
Ma che cos’è la giustizia, in fondo? È davvero un principio universale, o è solo una convenzione? È un’idea che nasce dalla ragione, o un istinto che viene dalla paura? Quando puniamo qualcuno, stiamo cercando di ristabilire un equilibrio, o stiamo semplicemente rispondendo al nostro desiderio di vendetta? Quando chiediamo giustizia, stiamo cercando la verità, o stiamo cercando una scusa per infliggere sofferenza?
La giustizia pretende di essere universale, ma non lo è. Ogni sistema giuridico è figlio del suo tempo, del suo luogo, della sua cultura. Ciò che è giusto in una società è ingiusto in un’altra. L’idea di giustizia che oggi riteniamo ovvia sarebbe incomprensibile per i nostri antenati, e probabilmente sarà ridicola per i nostri discendenti. La giustizia non è una verità assoluta: è una costruzione umana, un prodotto storico, una finzione che ci raccontiamo per sopravvivere.
Eppure, continuiamo a credere nella giustizia. Continuiamo a costruire tribunali, a scrivere leggi, a emettere sentenze. Perché? Perché abbiamo paura del caos. La giustizia è la nostra difesa contro l’incertezza, contro il disordine, contro l’imprevedibilità della vita. Abbiamo bisogno di credere che il mondo sia governato da regole, che il bene trionfi sul male, che ogni azione abbia una conseguenza. La giustizia è il nostro modo di dare un senso all’insensato, di trovare un ordine nel caos, di trasformare il caso in destino.
Ma il caos non si lascia governare. Ogni legge è un tentativo di mettere ordine nel disordine, ma ogni legge genera nuovi conflitti, nuove contraddizioni, nuove ingiustizie. Ogni sentenza è un tentativo di chiudere un caso, ma ogni sentenza lascia dietro di sé una scia di dolore, di rabbia, di vendetta. La giustizia non risolve i problemi: li sposta, li rinvia, li amplifica.
Pensiamo ai tribunali, quei templi della giustizia dove si dovrebbe cercare la verità. Ma in realtà, i tribunali non cercano la verità: cercano di costruire una narrazione convincente. Gli avvocati sono scrittori, i giudici sono editori, la giuria è un pubblico distratto. La verità non importa, ciò che importa è il racconto. E il racconto è sempre parziale, sempre incompleto, sempre influenzato dai pregiudizi di chi lo scrive e di chi lo legge.
Anche la giustizia divina, quella che dovrebbe essere perfetta, è una finzione. Pensiamo al peccato originale: un uomo e una donna mangiano un frutto proibito, e per questo l’intera umanità è condannata alla sofferenza. Che tipo di giustizia è questa? Non è giustizia: è arbitrio. È il capriccio di un dio che non ha bisogno di giustificare le sue azioni. Ma gli uomini, nel loro desiderio di imitare quel dio, hanno creato una giustizia altrettanto arbitraria, altrettanto ingiusta.
La giustizia è anche un’arma di esclusione. Divide il mondo in due: chi è dentro e chi è fuori, chi è giusto e chi è sbagliato, chi è colpevole e chi è innocente. Ma questa divisione è sempre artificiale, sempre costruita. Non esistono persone giuste o persone sbagliate: esistono solo persone. E ogni tentativo di ridurre la complessità dell’essere umano a una categoria è una violenza, un’ingiustizia.
Forse, allora, dovremmo abbandonare l’idea di giustizia. Non per cedere al caos, ma per accettarlo. Non per rinunciare all’ordine, ma per trovare un ordine diverso, un ordine che non si basi sul giudizio, sulla punizione, sulla separazione. Forse, invece di cercare la giustizia, dovremmo cercare la mitezza.
La mitezza non giudica, non punisce, non divide. La mitezza accetta. È il riconoscimento dei nostri limiti, l’accettazione dell’impossibilità di sapere tutto, di controllare tutto, di capire tutto. La mitezza non cerca di imporre un ordine al mondo: lascia che il mondo sia. Non cerca di correggere gli altri: li accoglie. Non cerca di vendicarsi: perdona.
La vera giustizia non è un sistema, non è una legge, non è un tribunale. La vera giustizia è l’assenza di giudizio. È il silenzio davanti al mistero del mondo, l’umiltà di riconoscere che non possiamo sapere chi ha ragione e chi ha torto, chi è giusto e chi è sbagliato. La vera giustizia è la mitezza, e la mitezza è l’unica forma di giustizia possibile.
Ma la mitezza è difficile. Richiede coraggio, richiede forza, richiede una fiducia che pochi di noi possiedono. È più facile giudicare che accettare, più facile punire che perdonare, più facile dividere che unire. E così continuiamo a credere nella giustizia, anche se sappiamo che è un’illusione, anche se sappiamo che ci rende più crudeli, più arroganti, più ciechi.
La giustizia è il grande inganno dell’umanità. Ma forse, smascherando questo inganno, possiamo iniziare a costruire qualcosa di diverso. Non un nuovo sistema, non un nuovo ideale, ma un nuovo modo di essere. Un modo che non abbia bisogno di giudicare per esistere, che non abbia bisogno di condannare per sentirsi vivo. Un modo che trovi forza non nella vendetta, ma nella compassione.
Forse, il primo passo verso la vera giustizia è rinunciare alla giustizia. Forse, il primo passo verso la pace è il silenzio. Forse, il primo passo verso l’umanità è la mitezza.