Domenico Riccio - La Colpa

La colpa è un tribunale senza giudice, un processo senza prove, una condanna senza reato. Non esiste, ma pesa. Non ha forma, ma imprigiona. Ci accusiamo da soli. Ci puniamo senza sapere perché. Un tribunale invisibile, sempre aperto, sempre attivo, senza appelli, senza assoluzioni. Chi ha deciso che dobbiamo espiare? Nessuno. Eppure, continuiamo. Perché? Perché la colpa è una superstizione travestita da morale, un meccanismo che funziona anche senza carnefici. L’imputato è anche il boia. La prigione è la mente. Questo libro smonta pezzo dopo pezzo l’architettura del senso di colpa, svelandone il vuoto. Dalla Bibbia alla psicoanalisi, dalla filosofia alla sociologia, dalla storia alla scienza, nessun campo dello scibile è risparmiato. Il verdetto? La colpa non è un fatto, è una costruzione. E se la colpa non esiste, nessuna espiazione è necessaria. Un libro per chi è stanco di processarsi. Per chi vuole uscire dalla gabbia. Per chi è pronto a scoprire che il tribunale non c’è mai stato.

“La colpa è un’abitudine. L’espiazione è una scaramanzia”

Indice
L’Opera
La colpa o Yesod – La colpa: il fondamento del nulla
L’Autore
“La colpa è un’abitudine. L’espiazione è una scaramanzia”
La colpa o Yesod
Non c’è un giudice. Non c’è una sentenza. Non c’è una legge
Parte I – Il tribunale invisibile
Nessuno ti accusa
Nessuno ti assolve
Nessuno ti condanna
La colpa senza giudice
Il peccato originale è un’opinione
La memoria è una sentenza che non si prescrive
Se sei colpevole, chi è innocente?
L’imputato è anche il boia
Il processo senza prove
L’assoluzione è un mito
Parte II – L’architettura del senso di colpa
Costruire la cella e poi entrarci
Il supplizio volontario
La colpa senza fatto
Il fantasma del rimorso
Se sei il colpevole, chi è la vittima?
Il sacrificio senza idoli
L’inferno non ha porte, ma chiavi
Il peso dell’assenza
L’espiazione come superstizione
Il cerchio che non si chiude mai
Parte III – Smontare il meccanismo
Se la colpa è tutto, allora non è nulla
Il perdono è una truffa
La vergogna è una maschera senza volto
Nessun debito, nessun creditore
La confessione è solo un racconto
Uscire dalla gabbia senza sbarre
Nessuna colpa, nessuna salvezza
L’etica come teatro
Il fondamento crolla
Fine del gioco
Conclusioni: il fondamento si dissolve

Non c’è un giudice. Non c’è una sentenza. Non c’è una legge
Non c’è un giudice. Non c’è una sentenza. Non c’è una legge. Eppure, ci sentiamo condannati. La prigione esiste, anche se nessuno l’ha costruita. Il processo è iniziato, anche se nessuno ha letto i capi d’accusa. La colpa ci pesa addosso, anche se nessuno l’ha mai pronunciata.

Ci accusiamo da soli. Ci processiamo in silenzio. Ci condanniamo senza appello. Ogni giorno, ogni istante, nel buio delle nostre coscienze. Non sappiamo quando è cominciato. Non sappiamo perché. Ma il verdetto lo conosciamo bene: colpevoli.

Di cosa? Non importa. La colpa è senza fatto. Il peccato è senza evento. La colpa è un’ombra senza corpo, un fantasma che non ha bisogno di prove, perché si nutre dell’assenza di esse. Nessuno ci ha mai detto che siamo innocenti. Nessuno ci ha mai spiegato che l’accusa è una costruzione arbitraria. Nessuno ci ha mai insegnato che il tribunale è un miraggio.

Eppure viviamo come se fosse reale.

Da dove nasce questa colpa? Da un dio, da una legge, da una società, da una voce dentro di noi? Non c’è risposta, perché la colpa non è mai stata un fatto. È un’architettura invisibile. Un meccanismo perfetto che si sostiene da solo. Non serve un carnefice se la vittima si frusta da sé. Non serve una prigione se il prigioniero si inginocchia spontaneamente.

La colpa è una macchina che gira a vuoto. Non ha bisogno di eventi, solo di sensazioni. Il rimorso, il senso di inadeguatezza, il sospetto di non essere abbastanza. Ti svegli e la senti. Ti muovi e la trascini. Anche quando credi di averla lasciata indietro, è sempre lì. Perché non viene da fuori, ma da dentro.

Nessuno ti accusa. Eppure ti difendi. Nessuno ti condanna. Eppure ti senti punito. Nessuno ti ha detto che hai sbagliato. Eppure sai di essere nel torto.

È questa la perfezione della colpa: non ha bisogno di fatti, solo di convinzioni. Un edificio senza fondamenta, ma che nessuno osa abbattere. Perché tutti ne sono prigionieri, ma nessuno sa chi abbia costruito la cella.

Il tribunale non esiste. Ma il processo continua.

La condanna che abbiamo scelto

Il più grande inganno della colpa è farti credere che sia necessaria. Che senza colpa, non ci sarebbe responsabilità. Che senza colpa, tutto crollerebbe. Che senza colpa, non esisterebbe giustizia.

Ma la colpa non è giustizia. È solo la paura di vivere senza un guinzaglio. La paura che, se non ci fosse la colpa, saremmo liberi. E se fossimo liberi, saremmo responsabili di ogni cosa. Nessuno ci punirebbe, ma nessuno ci assolverebbe.

Per questo la colpa è comoda. Perché assolve dalla libertà. Ci lega a una struttura invisibile e ci convince che, finché ne facciamo parte, il mondo ha un senso. Finché espieremo, avremo un posto. Finché saremo in debito, saremo necessari.

Ma se il debito fosse falso?

Se il sacrificio fosse inutile?

Se l’espiazione fosse solo una superstizione?

Allora il sistema intero si spezzerebbe. Non ci sarebbero più vittime, ma nemmeno carnefici. Non ci sarebbe più redenzione, ma nemmeno dannazione. Non ci sarebbe più dovere, ma nemmeno perdono.

E questo fa paura. Perché siamo abituati alla gabbia. La chiamiamo legge, morale, coscienza. Ma è solo una costruzione, una trappola che abbiamo accettato.

La colpa è un’illusione.

Eppure, viviamo in funzione di essa.

Perché siamo i prigionieri e i carcerieri. I giudici e gli imputati. Gli accusati e gli accusatori.

La colpa è un tribunale che non esiste, ma che nessuno osa abbandonare.

Spezzare il meccanismo. La perfezione è un mito. L’imperfezione è un fantasma. Se la perfezione non esiste, nemmeno l’imperfezione esiste. Se l’imperfezione non esiste, la colpa crolla. E con essa, crolla il bisogno di espiare.

Ma senza colpa, che cosa rimane?

Questa è la domanda a cui non vogliamo rispondere. Perché senza colpa, non abbiamo più un ruolo assegnato. Non siamo più debitori, penitenti, peccatori, imperfetti. Siamo solo quello che siamo.

Ma ci basta?

Se la risposta è no, allora continueremo a cercare nuove colpe. A costruire nuove gabbie. A inventare nuovi debiti. Perché il senso di colpa è una dipendenza. Non sappiamo chi saremmo senza di esso.

Se la risposta è sì, allora tutto cambia.

Allora possiamo smettere di processarci. Possiamo uscire dal tribunale invisibile. Possiamo spezzare il meccanismo. Possiamo smettere di sentirci condannati senza sapere perché.

Non c’è giudice. Non c’è sentenza. Non c’è legge.

La colpa non è mai stata reale.

Possiamo finalmente andarcene.