Domenico Riccio - Il Rimpianto
Il rimpianto è un fantasma che ci sussurra all’orecchio, un debito che non scade mai, un processo in cui siamo imputati, giudici e carnefici. È la nostalgia travestita da saggezza, il lutto delle possibilità, la fede nell’impossibile. È il prezzo che paghiamo per il tempo, che non si può né fermare né riavvolgere. Ci inchioda ai “se”, ci illude che un’altra vita fosse possibile, perfetta, nostra. Questo libro lo seziona, lo smaschera, lo deride. Dalla filosofia alla psicologia, dalla storia alla mitologia, dal marketing alla religione, niente si salva: perché il rimpianto è un’industria, una forma di controllo, una valuta che non compra nulla. Chi vince scrive la storia, chi perde la rimpiange. Ma chi non rimpiange? Un mostro. O un illuminato. Senza memoria non c’è rimpianto. Senza rimpianto non c’è identità. Forse l’unico modo per non averne è non avere scelte. O non avere tempo. Dio non ha rimpianti. Noi sì. Ma possiamo liberarci? No. Possiamo riderne? Forse. O almeno provarci.
“Rimpiangiamo quello che non abbiamo fatto. Ma anche quello che abbiamo fatto. Siamo bravissimi ad essere infelici”
Indice
L’Opera
Il rimpianto o Keter – Il rimpianto: la nostalgia dell’irreale
L’Autore
“Rimpiangiamo quello che non abbiamo fatto. Ma anche quello che abbiamo fatto. Siamo bravissimi ad essere infelici”
Il rimpianto o Keter
La nostalgia ha letto troppi libri di filosofia
Parte I – Il rimpianto come inganno
Il tempo non torna indietro. Eppure ci proviamo
Il passato è un’ipotesi, ma noi lo trattiamo come un debito
La nostalgia è la menzogna più dolce
Non è mai andata così. Ma avremmo voluto
Ci pentiamo di quello che non abbiamo fatto. Ma anche di quello che abbiamo fatto
Il rimpianto è il lutto delle possibilità
Ciò che era inevitabile diventa evitabile dopo. Ma solo dopo
L’errore è reale, il rimpianto è un miraggio
Ogni scelta è una condanna. Ogni alternativa, un’illusione
Senza memoria non c’è rimpianto. Senza rimpianto non c’è identità
Parte II – Il rimpianto come potere
Ci tengono in pugno ricordandoci i nostri errori
Il rimpianto è un’industria. Dal marketing alla religione
I vincitori scrivono la storia. I vinti la rimpiangono
Se ti penti, sei già stato giudicato
Non c’è perdono senza colpa. Non c’è colpa senza rimpianto
Ci vendono antidoti contro il rimpianto. Non funzionano
Il rimpianto come forma di controllo
I cimiteri sono pieni di occasioni mancate. E di chi non le ha mai rimpiante
Il rimpianto è la valuta del tempo. Ma il tempo non si compra
Dio non ha rimpianti. Perché non ha scelte
Parte III – Il rimpianto come superstizione
Se fosse andata diversamente, sarebbe stato meglio?
Chi non si pente è un mostro. O un illuminato
Il rimpianto è la paura mascherata da saggezza
L’eterno ritorno di ciò che non è mai stato
Rimpiangiamo il passato mentre roviniamo il presente
Il rimpianto è la fede nell’impossibile
Il passato non cambia, ma il nostro giudizio sì. E il rimpianto lo segue
Non sappiamo cosa fare del futuro, quindi rimpiangiamo il passato
Il rimpianto è la speranza al contrario
L’unico modo per non avere rimpianti è non avere scelte
Conclusioni: il rimpianto è il prezzo dell’essere umani
La nostalgia ha letto troppi libri di filosofia
Il rimpianto nasce con noi, ma non subito. Il neonato non ha rimpianti. Urla, mangia, dorme. Vive. Nessun pensiero per il latte versato, per il vagito fuori tempo, per il pugno chiuso invece della mano aperta. Poi cresce e inizia l’educazione al rimpianto. “Chiedi scusa.” “Guarda cosa hai fatto.” “Dovevi pensarci prima.” Gli anni passano e il rimpianto diventa un’ombra lunga, più alta di noi, più pesante di noi. Scegliamo e subito pensiamo all’alternativa. Camminiamo e ci chiediamo cosa sarebbe successo se avessimo preso un’altra strada. Amiamo e rimpiangiamo di non essere soli. Siamo soli e rimpiangiamo di non amare. Siamo esseri pensanti, quindi esseri rimpiangenti. Ma il rimpianto è un fantasma. Non esiste nel presente. È solo un riflesso deformato nel vetro sporco della memoria.
Ogni decisione porta con sé la sua nemesi: la possibilità scartata. Perché ogni sì è un no a qualcos’altro. Ogni strada presa è una strada persa. Ogni parola detta cancella il silenzio. Ogni gesto compiuto lascia indietro tutti quelli che non abbiamo fatto. E poi li piangiamo. Ci illudiamo che il tempo sia un libro da sfogliare avanti e indietro, con le pagine già scritte, da rileggere a piacimento. Ma il tempo è un treno senza stazioni intermedie, senza biglietto di ritorno. Non possiamo tornare indietro, ma possiamo tormentarci all’infinito immaginando di farlo.
Il rimpianto è un lusso per chi ha tempo da perdere. L’animale non rimpiange. Il leone che non cattura la gazzella non passa il resto della giornata a pensare a come avrebbe potuto azzannarla meglio. Ha fame e riprova. L’uomo invece si siede e ripercorre i suoi errori. Analizza, rimugina, si crocifigge da solo. Pensa al passato come a un debito, come a un conto in sospeso che non potrà mai saldare. Ma il passato non è un tribunale. È un cimitero. Puoi visitarlo, ma non puoi riesumare i morti.
Il mercato lo sa. Ti vende rimedi, terapie, libri di auto-aiuto, confessionali, guru che promettono di liberarti dal rimpianto. Ma il rimpianto è anche il loro guadagno. Se tu smettessi di rimpiangere, smetteresti di comprare. Il rimpianto è una moneta. Paghi per tentare di annullarlo, ma il saldo è sempre negativo. E la colpa è tua. Perché potevi fare meglio. Perché non hai scelto l’alternativa giusta. Perché sei umano, quindi sbagli. Ma non abbastanza da accettarlo e andare avanti.
Rimpiangiamo persino ciò che non è mai successo. Sogniamo scenari alternativi, vite parallele, mondi che non esistono. Se avessimo detto di sì, se avessimo detto di no, se fossimo stati più coraggiosi, più prudenti, più veloci, più lenti. La mente costruisce questi mondi, poi li abita per tormentarsi. Il passato non cambia, ma il nostro giudizio sì. E il rimpianto lo segue come un’ombra fedele. O un carceriere.
Ogni cultura ha il suo modo di gestire il rimpianto. Il cristianesimo lo chiama peccato, la psicoanalisi lo chiama trauma, il marketing lo chiama opportunità mancata, la filosofia lo chiama condizione umana. Ma il rimpianto è più antico di ogni nome che gli abbiamo dato. È il dolore per l’irreversibilità. L’uomo ha inventato le storie di resurrezione, reincarnazione, viaggi nel tempo, perché non tollera il concetto di non poter cambiare il passato. Ma il passato è già accaduto. Eppure continuiamo a negoziare con l’irreversibile, a trattare con la morte delle possibilità, sperando di rianimarle con il pensiero.
La storia è piena di rimpianti. Alessandro Magno, sul letto di morte, rimpiange di non aver conquistato ancora di più. Napoleone, esiliato, rimpiange il tempo perso in Russia. Cesare, colpito a morte, rimpiange il suo errore di fidarsi di Bruto. Ma forse non è vero. Forse il rimpianto è solo una proiezione che attribuiamo ai grandi del passato, perché ci fa sentire meno soli. Se anche loro hanno rimpianti, allora possiamo tenerci i nostri senza vergogna. Forse Alessandro Magno non ha rimpianto niente, forse Cesare ha solo pensato al dolore della pugnalata e non alla politica. Forse il rimpianto è solo un’invenzione per giustificare il nostro immobilismo.
La verità è che non esiste scelta giusta o sbagliata. Esiste solo la scelta fatta e quella immaginata. E l’immaginata, essendo solo un’idea, sarà sempre perfetta. Non avrà errori, non avrà conseguenze negative, non avrà imprevisti. È un’illusione di purezza, mentre la realtà è fatta di dettagli, inciampi, compromessi. Ecco perché il rimpianto è ingiusto: mette a confronto la realtà vissuta con la fantasia di una vita mai esistita. Una battaglia persa in partenza.
Forse il rimpianto non si può eliminare. Ma si può ridere di lui. Si può smascherarlo. Si può capire che non è altro che un trucco della mente, un miraggio che ci tiene fermi mentre il tempo ci trascina avanti. Forse non possiamo liberarci del rimpianto. Ma possiamo imparare a non prenderlo sul serio. Possiamo guardarlo in faccia e dirgli: tu non esisti. E, per un attimo, respirare.