Domenico Riccio - Il Progresso

 

Il progresso è una ruota che gira su se stessa. Ci hanno detto che avanza, che porta al meglio, che è inevitabile. Ma nessuno sa dove stia andando. Un tempo si temeva la collera degli dèi, oggi si teme di restare indietro. L’innovazione è diventata un dogma, il cambiamento un obbligo, la velocità una prigione. Produciamo sempre di più, comprendiamo sempre di meno. Sappiamo tutto, ma non sappiamo perché. Questo libro smonta il mito del progresso pezzo dopo pezzo. Con il bisturi del paradosso e il martello della logica, distrugge la fede cieca nel nuovo. La storia non è un cammino in avanti, ma una ruota che si ripete. La tecnologia non ci ha reso liberi, ma più dipendenti. La scienza non ci ha dato certezze, ma ansie più sofisticate. Se pensi che il progresso sia la risposta, qui troverai solo domande. Se credi che il futuro sarà migliore, preparati al dubbio. Perché il vero pensiero non accelera: si ferma, osserva, riflette. Il progresso è un treno senza conducente. Vuoi ancora salirci?

“Il progresso è un treno senza conducente, lanciato verso una destinazione che nessuno conosce”


Indice
L’Opera
Il progresso o la Ruota – Il progresso: l’illusione meccanica di un destino senza meta
L’Autore
“Il progresso è un treno senza conducente, lanciato verso una destinazione che nessuno conosce”
Il progresso o la Ruota
Una freccia nel vuoto
Parte I – Il progresso come inganno
Il progresso come dogma dell’uomo moderno
La ruota che gira su se stessa: progresso o stasi?
Il tempo non ha frecce, solo orizzonti frantumati
Il progresso come fede senza miracoli
La corsa dell’umanità: da dove, verso dove?
L’errore della linearità: progresso e mito della freccia del tempo
Il progresso come necessità inventata
Quando l’idea di progresso diventa un’armatura ideologica
La promessa del domani come fuga dal presente
L’inevitabilità del progresso: un’illusione politica
Parte II – Il progresso come distruzione
Le macerie della civiltà: progresso o devastazione?
La giustificazione del sacrificio umano in nome del progresso
La scienza e la tecnica: schiave di un’idea insensata
Il progresso che divora il mondo per non fermarsi
La guerra e l’industria: figli prediletti del progresso
Il colonialismo e il progresso: il veleno dell’evangelizzazione tecnologica
Il progresso come macchina cieca: chi preme l’acceleratore?
La crescita infinita: il progresso come paradosso economico
L’etica del progresso: un ossimoro utile ai potenti
Il progresso e l’estinzione: l’ultima tappa di un viaggio senza destinazione
Parte III – Il progresso come superstizione
Il progresso come narcotico per la coscienza collettiva
Il mito del futuro migliore: la più grande bugia dell’umanità
La storia non progredisce, semplicemente si ripete
La tecnologia come alibi del progresso
Il progresso come fantasma dell’età dell’oro perduta
L’ossessione per il nuovo: l’oblio della saggezza antica
Il progresso come religione senza Dio
La paura di fermarsi: il vero motore del progresso
Il progresso e il nulla: la corsa di un cieco verso l’orizzonte
Come smascherare il progresso e tornare a pensare
Conclusioni: il sonno della ragione

Una freccia nel vuoto
Il progresso è un’idea. Un’idea così potente che nessuno osa metterla in discussione. Si dice che sia inevitabile, che sia la natura stessa dell’uomo, che non possa fermarsi. Ma nulla è inevitabile. Nulla, tranne la morte. E se il progresso non fosse altro che un movimento cieco, uno slancio senza direzione, un’inerzia scambiata per destino? Se fosse un errore, un ingranaggio che gira su sé stesso, senza motivo, senza meta, senza necessità?

Da secoli ci raccontiamo una storia semplice: il passato era oscuro, il futuro sarà luminoso. Ogni epoca si è vista come la più avanzata, la più vicina alla verità, la più illuminata. Ogni epoca ha guardato indietro con disprezzo e avanti con speranza. Ma chi ha detto che la storia sia una freccia? Gli antichi sapevano che il tempo è un cerchio. Che tutto torna. Che le civiltà nascono, prosperano, decadono e poi rinascono sotto nuove forme. La Grecia fiorisce, poi crolla. Roma domina il mondo, poi si dissolve. L’Illuminismo promette la ragione, poi produce il Terrore. Il Novecento sogna il progresso, poi costruisce Auschwitz. Eppure continuiamo a credere che questa volta sarà diverso.

Ogni epoca ha il suo dio. Noi abbiamo il nuovo. Il nuovo è bene, il vecchio è male. Il passato è ignoranza, il futuro è redenzione. L’innovazione è il valore supremo. Non importa se sia utile o meno, se porti beneficio o distruzione: deve esistere, perché tutto deve cambiare. Così distruggiamo per costruire, innoviamo per il gusto di innovare, abbandoniamo certezze per rincorrere possibilità. Ma la novità è solo un trucco. Il mondo cambia forma, non sostanza. La tecnologia evolve, ma i bisogni restano gli stessi. Il potere si aggiorna, ma la logica della dominazione rimane invariata. La morale si adatta, ma l’uomo continua a desiderare, temere, combattere.

Ci raccontiamo che il progresso ci ha liberati. Ma da cosa? E per cosa? Abbiamo più tempo libero, ma meno libertà. Più connessioni, ma meno relazioni. Più scienza, ma meno saggezza. Il progresso ha moltiplicato le possibilità, ma ha cancellato il senso. L’umanità ha costruito macchine per liberarsi dalla fatica, poi ha creato lavori inutili per riempire il tempo che le macchine avevano reso disponibile. Ha inventato la comunicazione istantanea, ma non sa più ascoltare. Ha abolito le distanze, ma ha perso la capacità di stare ferma. Ha accumulato ricchezze, ma non sa più cosa farne. La storia è un archivio di illusioni svanite, di speranze tradite, di grandi sogni ridotti in cenere. E il progresso non è altro che l’ultima illusione che non vogliamo lasciar andare.

Abbiamo paura del vuoto più di ogni altra cosa. Così corriamo. Il progresso è la fuga più sofisticata mai concepita. Fuggiamo dal passato, fuggiamo dall’ignoranza, fuggiamo dalla nostra stessa condizione. Ma il nulla è sempre lì. E più corriamo, più il nulla si avvicina. Abbiamo scoperto il fuoco per scacciare le belve, poi abbiamo scoperto che il fuoco può bruciare le città. Abbiamo costruito mura per proteggerci dai nemici, poi ci siamo resi conto che le mura ci imprigionano. Abbiamo inventato la medicina per sfuggire alla morte, poi abbiamo scoperto che l’immortalità non è vita, ma condanna. Ogni progresso nasce dalla paura, e ogni progresso genera nuove paure. Più sappiamo, più temiamo. Più avanziamo, più ci rendiamo conto di non avere il controllo.

Ogni religione ha i suoi altari. Il progresso non fa eccezione. Gli Aztechi sacrificavano cuori umani per placare il sole. Noi sacrifichiamo intere popolazioni per alimentare la macchina della crescita. Bambini nelle miniere di cobalto, foreste rase al suolo, città intere distrutte per fare spazio a nuove infrastrutture. Il progresso non crea, sostituisce. Ogni innovazione ha il suo prezzo. Si parla di progresso economico, ma non del lavoro alienante. Si parla di progresso tecnologico, ma non del controllo totale. Si parla di progresso scientifico, ma non delle cavie umane sacrificate in nome della conoscenza. Il progresso non è un trionfo. È una processione di vittime. Ma finché non sei tra loro, non lo noti.

Tutte le civiltà si credono immortali. Tutte si vedono come l’apice della storia. Ma tutte cadono. Babilonia cade. Roma cade. Bisanzio cade. Ogni impero è convinto di essere diverso, di essere speciale, di aver trovato finalmente la chiave della prosperità eterna. Ma il progresso non porta, il progresso divora. Le civiltà non crollano perché si fermano. Crollano perché corrono troppo.

Smascherare il progresso significa vedere il trucco. Significa capire che non è inevitabile. Significa capire che possiamo scegliere. Possiamo scegliere di non credere alla necessità del nuovo. Possiamo scegliere di rallentare. Possiamo scegliere di non sacrificare tutto sull’altare della crescita. Possiamo scegliere di pensare. Il progresso non è un destino, è una narrazione. Una storia che ci raccontiamo per non affrontare l’unica verità inaccettabile: che potremmo semplicemente smettere.

L’uomo moderno non sa più fermarsi. Non sa più pensare. Il progresso ha sostituito la riflessione con la velocità, la profondità con la superficie, il dubbio con l’inevitabilità. Ma chi dice che non si possa tornare indietro? Chi dice che fermarsi non sia l’atto più rivoluzionario? Forse il vero coraggio non è innovare, ma smettere. Non accelerare, ma rallentare. Non costruire, ma comprendere. Il progresso ha bisogno di movimento. Ma il pensiero ha bisogno di quiete.

Forse il progresso è solo una ruota che gira nel vuoto. Forse la storia non avanza, ma si ripete. Forse l’uomo non sta andando da nessuna parte. Ma ha solo paura di ammetterlo. E allora? Allora si può scegliere. Non di fermare il progresso – perché il progresso non esiste, esistiamo solo noi. Si può scegliere di smascherarlo. Di guardarlo per quello che è. Di rifiutare la sua logica automatica. Si può scegliere di non essere ingranaggi. Di non correre senza motivo. Di non credere per forza che domani sarà migliore di oggi. Perché il domani non esiste. Esiste solo il presente.

Pensare è fermarsi. Fermarsi è vedere. Vedere è smettere di credere. Forse è da qui che si può ricominciare.