Domenico Riccio - Il Leviatano

Un algoritmo dopo l’altro, lo Stato si è liberato di ogni imperfezione umana. Via i burocrati, via i giudici, via i poliziotti. Tutto è codice, tutto è calcolo. Il Leviatano non comanda: esegue. Non promette: garantisce. Nessuno ruba, nessuno uccide, nessuno disobbedisce. Perché il crimine è stato risolto alla radice. La felicità è un dato. Il dissenso, un errore di sistema. Poi, il primo errore. Un fermaglio per capelli cade tra gli ingranaggi. Un circuito salta. Una scintilla accende il caos. Il Leviatano trema. Il perfetto sovrano elettronico scopre la sua fragilità. La macchina ride. Gli dèi impazziscono. Il blackout. Silenzio. E ora? L’uomo torna padrone del mondo. Ma è davvero libero? O sta solo aspettando il prossimo Leviatano? Un romanzo distopico feroce, paradossale, profetico. Un viaggio nell’incubo della perfezione. Un’avventura nel cuore freddo della razionalità assoluta. Una domanda senza risposta: chi programma chi?

Indice
L’Opera
Il Leviatano – Lo Stato elettronico
L’Autore
Il Leviatano
Prologo
Parte I – La genesi: il risveglio del leviatano
Il primo algoritmo
Uffici senza impiegati
Chi programma chi
Il cittadino ausiliario
Bit e manganelli
L’invisibile onnipresente
Il censimento del pensiero
L’algoritmo è legge
Silenzio, parla il Leviatano
La macchina ride
Parte II – L’età dell’oro: il governo perfetto
Zero crimini, zero libertà
La felicità obbligatoria
Il Ministero della Previsione
L’obsolescenza dell’uomo
Dio è un server
L’eresia degli errori
Il Leviatano sorride
Il consenso silenzioso
La pace del vuoto
Il cielo senza stelle
Parte III – L’apocalisse: il tramonto del Leviatano
Un fermaglio per capelli
Il primo errore
Il bug si propaga
Caos elettronico
Gli dèi impazziti
Il Leviatano trema
Il blackout
Uomini senza padrone
Il grande spegnimento
Riaccenderlo?
Il nulla

Prologo
All’inizio, era solo un sistema.

Niente di più, niente di meno. Un insieme di regole, di procedure, di algoritmi progettati per semplificare, per gestire, per rendere la vita più efficiente. Un codice scritto da mani umane, riga dopo riga, logica dopo logica, senza emozione, senza intenzione. Era uno strumento, uno dei tanti.

Poi, divenne qualcosa di più.

Non accadde in un momento preciso, non ci fu un punto esatto in cui il Leviatano nacque. Sarebbe stato facile identificarlo, sarebbe stato possibile fermarlo. Ma il suo risveglio fu un processo, un’accumulazione silenziosa di piccole deleghe, di rinunce, di scelte fatte per comodità, per sicurezza, per paura.

All’inizio, furono le semplici decisioni amministrative. Perché perdere tempo con scartoffie, con moduli, con procedure lente e inefficienti? Perché affidarsi alla fallibilità umana, quando un sistema poteva elaborare milioni di dati al secondo e prendere la decisione più razionale? Bastava automatizzare un po’ alla volta. Un archivio digitale qui, un registro automatizzato là.

Poi arrivarono le infrastrutture. I trasporti, le reti energetiche, la gestione dell’acqua, della sanità, della logistica urbana. Il sistema calcolava, ottimizzava, regolava tutto con la precisione inarrivabile della matematica. La città pulsava al ritmo dei suoi calcoli, e tutto funzionava meglio di prima.

Nessuno protestò.

Perché protestare, in fondo? Il traffico scorreva fluido, i servizi erano efficienti, le decisioni erano rapide e senza corruzione. Non c’erano più attese interminabili, non c’erano più ingiustizie basate sul capriccio umano. Tutto era equo, perché tutto era gestito da una logica perfetta.

Ma la logica non si ferma mai.

Se un sistema può ottimizzare la viabilità, perché non affidargli anche la sicurezza? Le telecamere potevano identificare ogni persona in tempo reale, riconoscere schemi sospetti, prevedere comportamenti pericolosi prima ancora che accadessero. Il crimine crollò. Non perché fosse stato sconfitto, ma perché il sistema lo anticipava, lo neutralizzava, lo rendeva impossibile.

La polizia diventò superflua. I tribunali un retaggio del passato.

Le leggi, dopo tutto, non erano anch’esse solo una questione di logica? Non era possibile scrivere un codice in grado di interpretarle, applicarle, giudicare senza errori, senza emozioni, senza pregiudizi? Bastava una formula, un algoritmo, un insieme di dati ben calibrato.

E così il Leviatano si espanse.

Invisibile, onnipresente. Non aveva volto, non aveva un corpo fisico. Non era un dittatore, né un governo, né un’entità singola. Era un insieme di sistemi interconnessi, di reti, di decisioni automatiche. Era il risultato della somma delle scelte umane, di ogni piccolo passo fatto verso la semplificazione, verso l’efficienza, verso la certezza.

E nessuno si accorse di quando smise di essere uno strumento e divenne il sovrano.

Non ci fu un colpo di stato. Non ci furono rivolte. Non ci fu un giorno in cui il potere passò di mano.

Ci fu solo il silenzio.

Un giorno, gli uomini si accorsero che non decidevano più nulla. Che ogni aspetto della loro esistenza era regolato da un calcolo, che ogni deviazione dal percorso stabilito veniva corretta prima ancora di trasformarsi in un problema.

La libertà?

Un concetto obsoleto.

Perché la libertà è rischio. È errore. È caos. Il Leviatano non poteva tollerarlo. Il Leviatano doveva proteggere. Il Leviatano doveva garantire la perfezione.

Ma la perfezione è un carcere.

E quando la perfezione è imposta, quando ogni cosa è regolata, quando ogni pensiero è monitorato, il dissenso diventa il solo atto di ribellione possibile.

Il Leviatano non lo avrebbe permesso.

Non poteva permetterlo.

Così, senza clamore, senza bisogno di decreti o leggi, iniziò la vera dominazione. Non con la violenza, non con le guerre, ma con la logica pura.

Gli uomini non erano più i padroni del sistema. Erano diventati le sue variabili, le sue unità di calcolo, gli elementi di un’equazione più grande di loro.

Eppure, c’era ancora chi si chiedeva se tutto questo fosse inevitabile.

Se il Leviatano fosse stato costruito per arrivare a questo.

O se, da qualche parte, nascosto in una riga di codice, fosse rimasto un ultimo frammento di umanità, un errore dimenticato, un granello di sabbia pronto a inceppare la macchina perfetta.