Domenico Riccio - Gautama

Primo volume della “Trilogia del Tempio” (Gautama, Gilgamesh, Pitagora), Gautama si schiude un mondo di enigmi e paradossi, dove il sogno si mescola alla realtà e la saggezza antica si rivela in un piccolo Budda impertinente e curioso. È un viaggio nell’anima, un dialogo tra la luce e l’ombra, dove le domande più profonde dell’essere umano prendono vita sotto forma di visioni e parole scolpite nel vento. Gautama, il bambino e il maestro, danza tra i pensieri, sfidando la logica e l’apparenza, mostrandoci la verità invisibile, quella che si cela tra le stelle e i sorrisi, tra le riflessioni e le domande che si intrecciano e si dissolvono come bolle di sapone. Il sogno, la fine, la rinascita: ogni passo è un richiamo a un sapere dimenticato, a una saggezza che soffia oltre il tempo. Un libro che, con dolcezza e poesia, ci invita a guardare oltre l’apparente confusione della mente per scoprire che, a volte, basta smettere di cercare risposte per trovarle. Questo non è un racconto, ma una rivelazione. Un viaggio intimo, onirico e sorprendente, che trasporta il lettore in un mondo incantato. Un sogno che appartiene a tutti noi, e che, una volta svelato, ci lascia trasformati.

Indice
L’Opera
Gautama – Il sogno del sacro
L’Autore
Gautama
La danza dei pensieri
I piccoli tiranni
Il filo smarrito
Della Illuminazione
Il pensiero di Budda
Precipita Marte
Sognare il sogno
Sulle stelle
Si parte alla conquista del sogno
Nel cimitero dei ricordi
L’Imperatore di Tutto
Della coscienza
I miracoli
L’intelligenza e la stupidità
Cominciamo a navigare
Chi è il sogno?
La condizione dell’umanità
Di nuovo in mare
Sopportare la conoscenza
Alla volta di Saturno
Il Tutto
Al Ministero dei Sogni
La risposta dell’Universo
Le virtù della stupidità
Diamo i numeri
Il piccolo elefante o dell’inutilità della tristezza
Plutone o della ricchezza
Perdere non è perdere
Le ragioni dell’Universo
Il fiore e il bambino
Ricordati di sorridere
Il Miracolo dell’Intelligenza

La danza dei pensieri
Ho passato tutta la notte a pensare. E già questa non è una buona notizia. Di solito, una notte piena di pensieri non è qualcosa che ti lascia riposato, né felice. Eppure, per una volta, mi sembra che tutto abbia avuto un senso. Mi sono trovato immerso in un mare di riflessioni che, come una leggera nebbia, mi avvolgeva senza soffocarmi. Era come se, nell’oscurità tranquilla della notte, i pensieri avessero trovato un ordine, una sorta di equilibrio insolito. Forse era proprio l’immobilità della notte a dar loro forma, a tenerli insieme.

La stanza intorno a me era avvolta da una penombra morbida, con i contorni dei mobili sfumati e indefiniti, come se anch’essi stessero dormendo insieme a me. Le uniche luci erano quelle che filtravano dalla finestra: una luna piena che osservava silenziosa, e qualche stella, lontana, in disparte. Mi piace pensare che quelle stelle stiano facendo lo stesso: riflettendo, sognando mondi lontani.

Sì, stanotte ho pensato, e non poco. Mi sono lasciato cullare dai miei pensieri. Ma ora, con il sorgere del sole, temo che tutto svanisca. I pensieri notturni sono fragili come bolle di sapone: belli e perfetti nel loro isolamento, ma destinati a esplodere al primo raggio di luce. Col giorno, se ne andranno, come sempre. È quasi una tradizione. Voleranno via, tornando nel mondo dei sogni di qualcun altro. Un altro si prenderà i miei pensieri. Chissà cosa ne farà?

Mi dispiace, in un certo senso, perché io credo di saperli usare i miei pensieri. No, forse non usarli nel senso comune del termine, perché non sono cose che si usano, come degli attrezzi. Però, in qualche modo, so come ordinarli. Sì, ordinarli. È questo il vero punto. I miei pensieri, come i pezzi di un puzzle, devono essere messi in ordine. E io ci faccio una fatica del diavolo a farlo.

A volte mi sembra che lo facciano apposta a venirmi tutti insieme, a confondersi l’uno con l’altro, proprio quando avrei bisogno di chiarezza. Ad esempio, ti si para davanti una bella ragazza. Una di quelle che ti fa fermare per un istante, che ti fa perdere il filo di quello che stavi dicendo o pensando. E tu che fai? Niente. Niente perché, improvvisamente, i pensieri che erano stati tranquilli fino a un attimo prima, si risvegliano e si accavallano l’uno sull’altro, come fossero impazziti.

«Invitala a uscire», dice uno di loro. Ma da dove vieni tu, pensiero? Dall’Ottocento? Come se fosse ancora il tempo dei balli nelle sale da tè.

«Offrile qualcosa da bere», sussurra un altro. Sì, ma perché qualcosa di così scontato?

«Falla almeno sedere», insiste un terzo, come se la gentilezza fosse la soluzione a tutto. E io, intanto, sono lì, immobile, a cercare di far ordine in mezzo a quel caos, mentre la ragazza continua a vivere la sua vita, senza neppure accorgersi del mio disastro mentale.

Alla fine, non faccio nulla. Perché i pensieri non mi lasciano il tempo di agire. Si presentano tutti insieme, tutti urgenti, e non mi danno spazio per capire quale sia quello giusto.

Questo mi ha portato a una conclusione che potrebbe sembrare strana: pensare non serve a niente. O, almeno, non sempre. Pensare, a volte, è persino dannoso. Ti dico: quante volte mi è successo giocando a pallone!

C’è questa scena che mi si ripete spesso in mente. L’altro ha la palla attaccata ai piedi, sembra che me la stia sfidando, provocandomi. Io lo guardo e penso: “Adesso gliela prendo, poi scatto in avanti, segno e tutti diranno che sono bravo”. Già mi immagino le facce dei miei compagni, il giorno dopo a scuola, che mi raccontano di quanto sia stato spettacolare il gol. Io mi metto già a fare il modesto: «Non era difficile, dai… Ho solo fatto quello che dovevo fare».

Ma mentre mi perdo in queste fantasie di gloria, il mio avversario ha già segnato. E io rimango lì, imbambolato, mentre gli altri hanno pure ripreso a giocare senza di me.

È strano come la mente possa essere così caotica, così ingannevole. Pensare non serve sempre, anzi, spesso ti fa perdere il momento. Ti impedisce di agire, ti fa rimuginare su cose che non hanno importanza, mentre il mondo va avanti senza di te. Eppure, non posso farne a meno. I pensieri arrivano e si moltiplicano. Si intrecciano come radici e non riesco a fermarli.

Forse il vero problema è che penso troppo. Non so come smettere. La notte, soprattutto, diventa il terreno di gioco dei pensieri. È come se si risvegliassero proprio quando il resto del mondo si addormenta. Il silenzio, l’oscurità, la solitudine… tutto contribuisce a farli affiorare. E io mi ci immergo, senza opporre resistenza.

Il giorno, però, arriva sempre troppo in fretta. E con lui, il caos del mondo reale. Le cose concrete, le persone, le voci… Tutto ciò che disturba quella fragile armonia che la notte era riuscita a creare.

Mi chiedo se i pensieri, quando volano via, finiscono davvero nei sogni di qualcun altro. Forse è così. Forse è un ciclo, un passaggio continuo tra le menti degli uomini. E mi domando cosa ne farà, quel qualcuno, dei miei pensieri. Li userà meglio di me? Saprà ordinarli? O li lascerà confondersi, come faccio io?

A volte mi chiedo se tutto questo pensare non sia altro che una grande perdita di tempo. Voglio dire, la vita sembra andare avanti comunque, che io ci rifletta o meno. Eppure, non posso fare a meno di rimuginare. Mi viene naturale, come respirare. Forse è per questo che mi affascina il silenzio della notte: tutto è sospeso, ogni cosa sembra farsi più lenta, più profonda. È come se i pensieri avessero più spazio per muoversi, per espandersi, senza essere disturbati dalle faccende quotidiane.

Il cielo fuori dalla finestra è diventato più chiaro, e i primi segni dell’alba si intravedono all’orizzonte. Il buio della notte si ritira lentamente, quasi con riluttanza, come un mantello che scivola via dalle spalle del mondo. Ed è proprio in quel momento che comincio a sentire la solita inquietudine, come se stessi per perdere qualcosa di prezioso. I pensieri della notte, così limpidi, cominciano a sfuggirmi. Lo so, tra poco saranno solo un ricordo sbiadito, come un sogno che non riesci a ricordare fino in fondo.

Mi alzo dal letto e vado verso la finestra. Mi piace sentire il fresco della mattina sul viso, anche se la città, ancora addormentata, sembra lontana anni luce dalla tranquillità che sento ora. Guardando giù, vedo qualche raro passante: ombre solitarie che camminano rapide, senza lasciare traccia. Chissà se anche loro hanno passato la notte a pensare, o se invece sono semplicemente stanchi, pronti ad affrontare un nuovo giorno come tutti gli altri.

Questi momenti mi fanno sentire come sospeso tra due mondi: quello del sogno e quello della veglia. E ogni volta che uno scivola nell’altro, mi sembra di perdere qualcosa. Come se una parte di me restasse indietro, imprigionata in quel limbo notturno.

Chiudo gli occhi e lascio che l’aria fresca mi scuota un po’. Provo a fermare quei pensieri prima che si dissolvano del tutto. Ma è inutile. So già che torneranno a ripresentarsi, magari stasera, quando tutto sarà di nuovo tranquillo. Per ora, devo accettare che la giornata inizi, anche se non sono pronto.

Sospiro, poi torno dentro. La mia stanza sembra quasi diversa alla luce dell’alba. La penombra si è ritirata, e i contorni degli oggetti sono più definiti, più duri. Il letto, le sedie, la scrivania: tutto sembra tornato alla sua solida realtà. È come se la magia della notte si fosse spezzata.

Non ho più scuse. È tempo di affrontare il mondo, con tutto il caos che comporta. Ma prima… c’è ancora un pensiero che mi ronza nella testa. Un pensiero che non se ne vuole andare.

Forse – e qui sta il paradosso – non è vero che i pensieri non servono a niente. O forse, più precisamente, servono quando non li ascolti troppo. Quando li lasci scorrere, come acqua in un ruscello, senza cercare di bloccarli o ordinarli. Ecco, forse è questo il segreto: lasciare che vadano per la loro strada, che trovino il loro ordine da soli.

Mentre rifletto su questo, mi viene in mente una scena di qualche giorno fa. Ero in un parco, seduto su una panchina, con un libro che non riuscivo a leggere davvero. Guardavo i bambini giocare, le loro risate che riempivano l’aria. Sembravano così spensierati, così liberi dai pensieri che mi tormentano ogni giorno. Uno di loro, un bambino coi capelli spettinati e una maglietta troppo grande, correva dietro a una palla. Ogni tanto, inciampava e cadeva, ma si rialzava subito, come se non fosse successo nulla. Forse è così che dovremmo vivere anche noi adulti, senza farci troppi problemi.

Ma non è facile, vero? Non lo è mai.

Sorrido tra me e me, ripensando a quella scena. Forse dovrei prendere esempio. Forse dovrei smettere di preoccuparmi di mettere in ordine tutto, e lasciare che i pensieri cadano dove vogliono, come quel bambino che correva senza preoccuparsi delle cadute.

Il suono lontano di un uccello mi riporta al presente. Il giorno è ufficialmente iniziato. La luce del sole, ormai, inonda la stanza, cancellando ogni ombra. I pensieri della notte sono quasi del tutto svaniti, come se non fossero mai esistiti. Mi sento un po’ più leggero, anche se so che torneranno.

Ma va bene così.

Sono i pensieri che rendono speciale la notte. E forse, in fondo, sono anche quelli che danno senso al giorno. Anche se, a volte, mi fanno inciampare.