Domenico Riccio - Erich
“Erich”, “Il sistema è colpevole”, chiude la “Trilogia della Giustizia” (Sigmund, Carl, Erich) con un affondo spietato: il sistema giudiziario non è solo imperfetto, è colpevole. Colpevole di arbitrarietà, di essere vittima del rumore e delle emozioni. Le sentenze che emette? Fragili, approssimative, influenzate da fattori casuali e umani. Non basta migliorare il sistema. Occorre rivederlo dalle fondamenta. E se le sentenze non fossero mai definitive? Se ogni verdetto rimanesse aperto, sempre pronto a essere riconsiderato? Se la vera giustizia risiedesse nella ricerca, nell’umiltà, nel dubbio di sentenze che non giungano mai a definizione? Questo libro ti invita a ripensare il processo stesso, non come una macchina di verità, ma come un sistema in beta perpetua, un ciclo infinito di miglioramento e revisione. Perché la giustizia, vera giustizia, non può basarsi su risposte finali. Il giudizio deve restare aperto, sempre in ascolto di nuovi apporti, nuove prove, nuove prospettive. Solo così potremo costruire una giustizia umana, dove l’errore non è la fine, ma l’inizio della ricerca della verità.
Indice
L’Opera
Erich – Il sistema è colpevole
L’Autore
Erich
Il Signore è il mio pastore
Introduzione
Parte I – L’arbitrarietà
La realtà non è come appare
Il mondo VUCA-BANI
La realtà è volatile
La realtà è incerta
La realtà è complessa
La realtà è ambigua
La realtà è fragile
La realtà è ansiosa
La realtà è non lineare
La realtà è incomprensibile
Tutte le sentenze sono errate
Il modello razionale sinottico
La “Teoria scientifica della gestione” di Taylor
La “Teoria della gestione amministrativa” di Fayol
La “razionalità limitata” di Herbert Simon
Il modello “incrementale” di Lindblom
Il modello “cestino dei rifiuti” (garbage can model) di Michael Cohen
Il paradosso di Condorcet
Il teorema dell’impossibilità di Arrow
Il rumore nelle sentenze
Gli studi sulla disparità di giudizio
La fallacia della pianificazione del sistema giudiziario
Le impronte digitali
I preconcetti guidano anche le scelte migliori
Bias di conferma
Bias a cascata
Il rumore funziona benissimo pure sulle cd. prove scientifiche
L’abbondanza di informazioni e il sabotaggio del nostro cervello
Sequenziare le informazioni, non scegliere le informazioni
La difficoltà di prevedere
L’effetto gregge
La persistenza del giudizio
Essere innocente o colpevole conta il 20-30% della decisione
La statistica interna del giudice e le decimazioni
La ricerca assoluta di coerenza e l’horror vacui
La vaghezza e ingiustizia delle pene: la deterrenza generale
Premiare i criminali e punire gli innocenti
Parte II – Il rumore
Il “rumore” nei processi decisionali
Le sentenze di affidamento dei minori
La lotteria dei rifugiati
Le decisioni sulla libertà
Il ruolo della stanchezza
Il rumore nelle prove scientifiche
I giudici affamati condannano
Guai se perde la squadra del cuore
Fatevi giudicare il giorno del vostro compleanno
Usate il ventilatore
L’imbarazzo del disaccordo
La superiorità della statistica
Fatti e valori
La terza decisione è quella esatta, ma i giudici si fermano alla prima
La “saggezza delle folle”: è migliore la decisione presa da tanti inesperti di quella presa da un unico giudice esperto
La recettività alle stupidaggini ben congeniate
Usare un modello semplice
Le macchine sono migliori dei giudici
In conclusione, è meglio uno scimpanzè che tira freccette a caso
“Oltre ogni ragionevole dubbio” ovvero dell’ambiguità delle scale linguistiche
Parte III – Le emozioni
Indignazione e rabbia
L’intento punitivo
La legge del taglione e il desiderio di vendetta
L’ancoraggio nelle scale punitive
Casi complessi, giudizi divergenti
Gli errori strutturali
Coerenza con se stessi
Errore fondamentale di attribuzione
Il senno di poi
L’eccessiva fiducia in se stessi
Effetto dotazione
Il ritorno della colpevolezza che si autoalimenta
Lo status quo
Bias del presente
Impulso e riflessione
Parte IV – De jure condendo
I resoconti
Una sana igiene decisionale
La “regola della metà” e la “regola del bilanciamento”
L’aggregazione di stime indipendenti
Le dichiarazioni di incertezza
L’umiltà come forma di intelligenza
E se lasciassimo all’intelligenza artificiale la possibilità di proporre suggerimenti creativi al di là del diritto per comporre il dissidio tra le parti?
Perpetual beta: il paradosso del giudicato
Il bias della definitività e le sentenze del kaizen
Conclusioni
Introduzione
Come si diventa colpevoli nelle “fabbriche della colpevolezza”?
La giustizia, per come la intendiamo nella civiltà occidentale, è un pilastro fondamentale della nostra società, un ideale che affonda le sue radici nelle profondità della storia umana. Tuttavia, dietro questa facciata di certezza e moralità, si cela una realtà complessa e problematica, che sfida le nostre convinzioni più radicate. Questo libro si propone di esplorare le oscure pieghe del sistema giudiziario, svelando le fallacie, i bias e i difetti strutturali che minano la sua capacità di discernere la verità e di amministrare la giustizia in modo equo e imparziale.
Non può sottacersi che le sentenze non sono il prodotto di un processo puramente razionale e oggettivo, ma sono invece frutto di arbitrarietà e difetti strutturali del sistema giudiziario.
La realtà stessa con cui i giudici si confrontano è estremamente complessa e sfuggente. La realtà, invece, che emerge dalle sentenze è spesso una semplificazione estrema di una situazione che, in verità, è volatile, incerta, complessa, ambigua, fragile, ansiosa e non lineare. Immaginate un caso giudiziario in cui le prove sembrano puntare tutte in una direzione, solo per scoprire, in seguito, che la verità era nascosta in un dettaglio trascurato, in una sfumatura non compresa o in un contesto non considerato. La realtà è un mosaico di pezzi spesso incomprensibili e incoerenti, e ridurla a una narrazione lineare, come spesso avviene nelle sentenze, significa correre il rischio di tradirla.
La nostra fiducia nelle istituzioni ci porta a credere che le decisioni giudiziarie siano il risultato di un’applicazione rigorosa della legge, ma la verità è ben diversa. Le sentenze sono spesso influenzate da fattori che nulla hanno a che vedere con il merito della questione in esame, come l’interpretazione soggettiva delle prove, le pressioni esterne e le convenzioni culturali.
Un esempio eclatante di questa arbitrarietà può essere visto nel fenomeno del “forum shopping”, nel quale le parti in causa cercano di spostare il processo in giurisdizioni più favorevoli, sfruttando le differenze interpretative tra i diversi tribunali. Questo dimostra quanto le sentenze possano variare a seconda del contesto, sollevando dubbi sulla loro coerenza e giustizia.
Un altro fattore critico che compromette l’affidabilità delle sentenze è il cosiddetto “rumore” nei processi decisionali. Con “rumore” si intende quella variabilità indesiderata nelle decisioni che non deriva dal merito del caso, ma da circostanze esterne che influenzano inconsapevolmente i giudici. Questo rumore può essere causato da una varietà di fattori: la stanchezza, la fame, le condizioni meteorologiche o persino i risultati sportivi. Studi hanno dimostrato, ad esempio, che i giudici tendono a essere più indulgenti dopo aver consumato un pasto, o che le loro decisioni possono variare a seconda dell’andamento della squadra di calcio per la quale tifano.
Queste influenze, apparentemente banali, possono avere un impatto devastante sulle vite delle persone. Pensiamo, per esempio, a un imputato che viene giudicato colpevole solo perché il giudice, in quel momento, si trova ad avere problemi di digestione. Queste circostanze rendono le sentenze non solo inaffidabili, ma anche ingiuste, alimentando un sistema che, invece di garantire equità, perpetua l’errore.
Le emozioni individuali dei giudici, poi, sono un altro elemento che contribuisce all’arbitrarietà delle decisioni. Nonostante si cerchi di idealizzare il giudice come figura imparziale, la verità è che ogni essere umano è influenzato dalle proprie emozioni, esperienze personali e convinzioni. Queste influenze possono distorcere la percezione della realtà, portando a decisioni che non riflettono una valutazione obiettiva dei fatti.
Un esempio particolarmente significativo è quello delle decisioni prese sotto stress o in situazioni di emergenza. In questi casi, i giudici possono essere spinti a prendere decisioni rapide e intuitive, basate più su reazioni emotive che su un’analisi razionale e ponderata. Questo tipo di decision-making può portare a errori giudiziari che hanno conseguenze gravissime, come la condanna di innocenti o l’assoluzione di colpevoli.
Alla luce di queste considerazioni, il testo propone una riflessione radicale: e se la soluzione fosse abolire il concetto stesso di giudicato?
Il giudicato, ovvero la decisione finale e inappellabile, viene tradizionalmente visto come il fondamento della stabilità e della certezza del diritto. Tuttavia, questa stessa stabilità può diventare un ostacolo alla giustizia, soprattutto quando si basa su premesse errate o su decisioni prese in condizioni subottimali.
L’idea di redigere le decisioni come aggregazioni di stime indipendenti in “perpetual beta” offre una visione alternativa e innovativa della giustizia. In questo modello, le decisioni non sarebbero mai definitive, ma sempre aperte alla revisione e al miglioramento continuo, secondo i principi del “kaizen”. Questo approccio incoraggerebbe un atteggiamento di umiltà e apertura mentale, riconoscendo che nessuna decisione è perfetta, ma è certamente sempre migliorabile con la modestia e il buon senso.