Domenico Riccio - Albedo

Albedo – La Luce
La luce sorge dalle tenebre. Albedo, secondo volume della Trilogia del Sigillo (Nigredo, Albedo, Rubedo), è la seconda tappa del Viaggio, la purificazione. Dopo la disgregazione della materia, l'Uomo si risolleva dall'ombra, ma non senza difficoltà. Il bianco del risveglio non è puro come sembra, è una soglia tra la chiarezza e l'illusione. In questo stadio alchemico, ogni passo si avvicina alla verità, ma ogni rivelazione porta con sé nuovi dubbi. L’Uomo cammina tra la luce e l’ombra, cercando di comprendere ciò che è stato spezzato, ciò che ancora deve rinascere. Chi siamo una volta che l’oscurità si dissolve? La luce che ci abbaglia è verità o solo un altro velo da squarciare? Albedo è la ricerca di ciò che è nascosto sotto la superficie, il viaggio verso la trasparenza dell'essere, dove il bianco non è purezza, ma la preparazione all'unione finale. Attraversa la luce, ma ricorda: solo ciò che si è perso può essere ritrovato.

Indice
L’Opera
Albedo – La Luce
L’Autore
Albedo
Risorge dalle tenebre
Il Ritorno della Luce
L’Attesa del Silenzio
L’Antico Volto del Mare
Erasmo insegna il ritorno alla purezza
Montaigne mi invita alla semplicità
Voltaire è la chiave
Il Fuoco Eterno
L’Arcano Principio
L’Altro Sole
La Notte della Rinascita
Il Verbo Nascosto
L’Abisso della Notte
Il Drago Alato
Il Monte
Il Serpente e la Montagna
La Montagna della Preghiera di Giovanni
L’Anabasi
Kurt Gödel e l’ascesi matematica
Il cammino
La conoscenza
Laozi, la Via è eterna e immutabile
Il profondo Confucio
Dentro di sé
La lancia di Alessandro
Le mura e gli uomini
Lo scudo di Tamerlano
Il vuoto della vittoria
Senza senso
La luce si curva

Risorge dalle tenebre
Ecco, la luce risorge dalle tenebre.
Non è l'alba che conosci,
non è il giorno che hai atteso.
È un chiarore sottile,
una fiamma nascosta,
che si leva dal cuore della notte.

Il deserto è davanti a me,
spoglio, muto, immobile.
Le ombre delle dune si allungano,
ma non c'è vento,
non c'è suono.
Il silenzio regna,
e in esso si cela il segreto.

«Chi sei tu che cerchi la luce?»
domandò la Voce,
una Voce che giungeva dal profondo,
da un luogo senza nome,
senza tempo.

«Io sono colui che è passato attraverso la morte»,
risposi,
«colui che ha visto la fine,
ma ora cerca l'inizio».

E la Voce si fece più vicina,
come un sussurro avvolto nel respiro dell'eternità:
«Non c'è inizio,
non c'è fine.
Ogni cosa che era,
ancora è.
E ogni cosa che sarà,
già è stata».

I miei occhi cercarono il Cielo,
ma il Cielo non rispose.
Solo la polvere si alzava,
lenta,
come in una danza eterna.
E la luce,
che non era luce,
filtrava tra le ombre,
rivelando l'invisibile.

Camminai.
Il deserto sembrava infinito,
eppure sapevo che ogni passo mi avvicinava
non a una meta,
ma a un ritorno.
Un ritorno all'origine,
dove tutto è uno,
dove la separazione è un'illusione.

«Cos’è l'Albedo?»
chiesi al silenzio.
E il silenzio mi rispose,
non con parole,
ma con il peso di un respiro trattenuto.

L'Albedo,
il bianco della rinascita,
la luce purificata dal fuoco oscuro.
Non vi è purezza senza prima la disgregazione,
non vi è luce senza prima l'ombra.

Lentamente, il paesaggio cambiò.
La terra che avevo conosciuto si dissolveva,
e davanti a me si apriva un giardino,
un luogo non visto,
ma sempre esistito.
Vi erano alberi,
ma non alberi come quelli del mondo.
Le loro foglie brillavano di una luce che non apparteneva al sole,
una luce che veniva dall'interno,
dal cuore della creazione.

Mi avvicinai,
ma non potevo toccare.
Non era permesso toccare ciò che ancora non era stato compreso.

«La luce ti abbaglia,
ma non ti rivela»,
disse la Voce.
«Non sei ancora pronto.
Solo chi passa attraverso la dissoluzione
può abbracciare la vera visione.
Solo chi si spoglia di tutto
può ricevere il Tutto».

Mi fermai.
Guardai le mie mani,
erano vuote.
Vuote come lo erano state nel giorno della mia nascita.
E compresi.
Compresi che la luce che cercavo
non era davanti a me,
ma dentro di me,
sepolta sotto strati di ombra e dimenticanza.

La Voce parlò ancora,
più dolce questa volta:
«L'ombra è tua amica,
non temere.
Essa custodisce ciò che non puoi vedere,
e ti prepara alla rivelazione».

Allora chiusi gli occhi.
E nell'oscurità,
vidi la luce.
Non una luce che brilla,
ma una luce che sorge dal profondo,
che si innalza dalle radici della mia anima.

Il giardino attorno a me svanì.
Non vi erano più alberi,
né foglie di luce.
C'era solo il vuoto,
e in quel vuoto
mi ritrovai.

«Chi sei tu ora?»
chiese la Voce.

«Io sono colui che cerca»,
risposi,
«ma anche colui che ha trovato».

E il cielo si aprì,
non con il rombo delle acque,
non con il fuoco dei cieli,
ma con il dolce suono del silenzio.
Un silenzio che portava con sé la promessa di una nuova alba,
una luce che non sorge dal mondo,
ma da un luogo oltre il mondo.

E la Voce disse:
«Ora puoi camminare,
poiché la via si apre davanti a te.
Ma sappi che ciò che vedi
è solo un riflesso.
La vera luce ancora attende,
nel luogo dove l'ombra incontra il giorno».

Camminai ancora,
senza meta,
poiché la meta non era mai stata davanti a me.
Era sempre stata dentro di me,
un seme nascosto nel profondo.

E così,
nel cuore del deserto,
trovai il mio giardino.
Non era fatto di alberi e fiori,
ma di quiete e attesa.
Un luogo dove l'anima si prepara,
dove il corpo si dissolve,
e il Tutto prende il suo posto.

«Ora»,
disse la Voce,
«sei pronto.
Non più luce,
non più ombra,
solo l’Uno.
La fusione di ogni cosa».

Ecco,
l’Albedo è compiuta.